«Mi sento finalmente liberato da un peso enorme. Sono stati anni difficili nei quali ho dovuto lottare contro l’ingiustizia di un'accusa che non aveva alcun fondamento. In questi anni sono stato sopraffatto da una gogna spietata. Sono grato ai giudici della Corte d’appello e della Cassazione che hanno saputo riconoscere il grave errore. Ora è il tempo di ripartire». L’incubo di Claudio Foti, lo psicoterapeuta del caso “Angeli e Demoni” finito a processo con l’accusa, pesantissima, di aver provocato volontariamente un disturbo borderline in una paziente 17enne, è finalmente finito. La Cassazione, ieri, ha infatti respinto il ricorso della procura generale di Bologna, che aveva tentato di ribaltare la sentenza di assoluzione dello scorso anno. L’assoluzione, dunque, diventa definitiva, assestando un colpo fortissimo al teorema Bibbiano, che proprio sull’immagine di Foti aveva costruito la sua fortuna mediatica.

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In mattinata era stato già il sostituto procuratore generale Sabrina Passafiume a bollare come inammissibile il ricorso dell’accusa, in quanto il giudizio di Cassazione - questo il ragionamento - non può essere invocato come terzo grado di giudizio di merito, mentre il ricorso invoca l’esame di prove già vagliate in sede di merito, sulle quali la Corte non può sindacare, pretendendo di ribaltare la ricostruzione dei fatti della Corte d’Appello, ma senza indicare le ragioni per cui la motivazione dovrebbe essere considerata viziata, illogica e incoerente. Passafiume ha anzi ribadito che la motivazione del processo d’appello risulta completa e logica, in quanto ha messo in evidenza l’assenza di una legge scientifica di spiegazione causale e anche la totale inattendibilità della consulenza della dottoressa Rita Rossi, che pure aveva smentito se stessa – e di conseguenza la tesi accusatoria - come cita lo stesso atto di impugnazione: «Non ho detto che la sindrome borderline deriva dalle psicoterapie», aveva affermato la psicologa nel corso del processo d’appello, buttando giù in un colpo solo l’accusa e la sua stessa consulenza. Un tono severo e sferzante, quello della pg, che ha sottolineato come la sentenza di primo grado – con la quale Foti era stato condannato a 4 anni - fosse totalmente mancante di una motivazione convincente, coerente, logica e non fondata su dati giuridicamente apprezzabili.

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Nel suo intervento, l’avvocato Luca Bauccio ha evidenziato le molteplici contraddizioni dell’atto di impugnazione, primo fra tutti il fatto di disancorarsi totalmente dalle motivazioni d’appello, di fatto tentando di imbastire un nuovo giudizio di merito. «L’atto di impugnazione e le memorie di parte civile si limitano a contestare genericamente la decisione assolutoria - ha evidenziato Bauccio -, sulla base di una loro diversa valutazione delle prove e nemmeno deducono e contestano la specifica motivazione della sentenza sulle prove assunte a suo fondamento. Il motivo di impugnazione involge, con ogni evidenza, un accertamento di merito su circostanze di fatto precluso in sede di legittimità: non è compito della Corte di Cassazione esaminare nuove prove, ma unicamente valutare la stringenza e la coerenza della motivazione adoperata dalla sentenza impugnata, qui però mai dedotta».

Ma non solo: se, da un lato, l’accusa non ha fornito alcuna base scientifica alla propria tesi - smentita, peraltro, dalla letteratura scientifica, in base alla quale il disturbo borderline si forma nei primi anni di vita e si manifesta nell’adolescenza e nell’età adulta -, dall’altro ha criticato i giudici d’appello per aver accolto la documentazione scientifica fornita da Bauccio. Un argomento «non decisivo - ha evidenziato Bauccio -, in quanto nemmeno indica eventuali fonti scientifiche alternative e contrarie, in ipotesi idonee a smentire gli assunti scientifici posti a fondamento della sentenza di assoluzione. Tali fonti alternative, infatti, sono rimaste del tutto ignote e l’argomento dell’impugnante si risolve in una affermazione vuota e priva di una ratio compatibile con il giudizio di Cassazione».

Per Bauccio, «la Cassazione ha posto la parola fine alla leggenda mediatico politico giudiziaria più clamorosa degli ultimi anni. Con la definitiva assoluzione di Claudio Foti è stata smascherata una mostruosa macchina del fango costruita per finalità che non hanno nulla a che fare con i minori e con la giustizia - ha sottolineato dopo la lettura della sentenza -. Claudio Foti è stato sottoposto a una gogna mediatica spietata ed è stato accusato sulla base di una consulenza tecnica completamente destituita di fondamento scientifico e giudicata inaffidabile. Non vi era alcun legame tra la sua psicoterapia e la presunta malattia di una ragazza. E la diagnosi della malattia era stata fatta senza il rispetto delle regole più elementari. Ci sono voluti anni di battaglie ma ora possiamo dirci soddisfatti, giustizia è fatta. Ora bisognerà ricostruire una vita e una professione travolti da una accusa profondamente ingiusta e immotivata».

Quello a Foti è l’esempio perfetto del processo mediatico, con una mostrificazione ad arte alimentata da fake news e totale ignoranza degli atti, a partire dalla leggenda del “lupo di Bibbiano”, in base alla quale lo psicoterapeuta si sarebbe travestito da lupo per rincorrere i bambini poi strappati alle famiglie. Lupo che, stando al processo attualmente in corso a Reggio Emilia con il rito ordinario, che vede imputate 17 persone, altro non sarebbe se non un pupazzo usato durante le sedute di psicoterapia di un’altra imputata. Ma c’è di più: Foti, nel caso “Angeli e Demoni”, non ha seguito nessun caso di affido, finendo invischiato nell’inchiesta per la psicoterapia eseguita su una 17enne che, nel corso degli anni, aveva denunciato di aver subito più volte abusi sessuali. Una terapia che stando alle registrazioni fornite dallo stesso Foti al Tribunale - e che il Dubbio ha visionato per intero - si è svolta senza alcun tentativo di manipolare i ricordi, dal momento che è stata la ragazza, sin dalle prime sedute, a parlare degli abusi subiti e del suo odio verso il padre, che dunque non sarebbe stato instillato da Foti. Non solo, al termine della terapia la giovane ha dichiarato di non aver più voglia di morire, desiderio che, invece, l’accompagnava all’inizio della terapia.

Anche dopo l’assoluzione in appello, la tempesta di fango che ha investito lo psicoterapeuta non si è placata. Un clima descritto perfettamente dalla frase pronunciata dall’ex deputato Italo Bocchino, che subito dopo la sentenza aveva inventato una nuova categoria penale: «Resta intatta la responsabilità morale di Foti». Nella vicenda Foti sono decine, centinaia, le notizie inventate o manipolate, a partire dagli stralci di seduta tagliati e cuciti per dimostrare qualcosa che non emerge mai dalla visione dei nastri. E anzi, come dichiarato da Bauccio in appello - senza alcuna smentita da parte della pm -, sarebbero stati i carabinieri a riferire alla giovane paziente e a sua madre dell’esistenza di una relazione nella quale Foti attribuirebbe le violenze subite dalla ragazza al padre. Questa relazione, semplicemente, non è mai esistita. Ma è proprio questa informazione a convincere le due donne di una manipolazione da parte di Foti. Riassumere tutte le fake news è forse impossibile. Ma tra le tante che hanno macchiato la reputazione dello psicoterapeuta ci sono quella dei titoli mancanti, dei vari casi “falliti” - una manciata, a fronte di decine e decine di vicende trattate -, alcuni in realtà mai seguiti da Foti, nonché quella di aver istigato al suicidio un’intera famiglia, che si è tolta la vita ben due anni dopo la perizia (tra le tante di quel caso) firmata da Foti, caso rispetto al quale la presunta vittima, ancora oggi, continua a sostenere la colpevolezza dei propri familiari.