«Non sono stato in carcere, ma per quattro anni ho vissuto da detenuto. Ora spenderò gli anni che mi restano da vivere per trasformare questo evento profondamente lesivo in un’occasione di crescita per tutta la società». Ha la voce spezzata Claudio Foti pochi minuti dopo aver sentito i giudici proclamare in aula la sua innocenza. Nessuna ostetricia dei ricordi, nessun plagio: lo psicoterapeuta dipinto come il “lupo di Bibbiano” non ha provocato alcun disturbo borderline nella sua paziente all’epoca 17enne, finita da lui per gli abusi subiti durante l’infanzia e l’adolescenza.

A stabilirlo la Corte d’Appello di Bologna, che oggi lo ha assolto nel processo “Angeli&Demoni”, quello che lo aveva trasformato da difensore dei minori abusati a mostro, secondo un’opinione pubblica che lo voleva anche oltre il capo di accusa ladro di bambini. Nessuna lesione grave - il fatto non sussiste -, dunque, nessun abuso d’ufficio - non ha commesso il fatto - e nemmeno frode processuale, per la quale era già stato assolto. Foti, dopo la lettura della sentenza, è scoppiato a piangere, abbracciando il suo legale, Luca Bauccio (in foto insieme a Foti), che in aula ha smontato pezzo per pezzo la tesi del sistema Bibbiano, di cui lui, pur essendo personaggio marginale, era stato eletto protagonista.

«Ho subito gravi limitazioni alla mia libertà e alla mia vita professionale - dice Foti al Dubbio -. Bisogna riflettere su quello che è accaduto, quello che accade agli psicoterapeuti. Ma anche sulla gogna, sulla stupidità in rete che diventa potere. Bibbiano è un prisma con tante facce che meritano una riflessione culturale. È stato difficile, ma abbiamo dimostrato l’inconsistenza delle ragioni accusatorie, a partire da fatti, documentazioni, elementi di realtà che erano stati stravolti dal castello accusatorio. Sono felice, emozionato, rinato. Questa assoluzione mi restituisce la dignità e l'onore che merito, non ho mai fatto del male ai miei pazienti, li ho sempre aiutati, mettendo a disposizione tutto il mio tempo e il mio sapere. Oggi finiscono quattro anni di dolore e di ingiustizia. Potrò tornare al mio lavoro e alla mia vita».

Per il professionista si tratta anche di una vittoria della psicoterapia del trauma: «Oggi ci sono tanti bambini traumatizzati che non vengono curati e pochi psicoterapeuti che spesso affrontano incomprensioni e comportamenti di squalifica. Ma bisogna guardare al futuro: ho già preparato una serie di iniziative per trasformare questi quattro anni in qualcosa di positivo».

Secondo il giudice che lo aveva condannato in primo grado, «le modalità fortemente pregiudizievoli con le quali l'imputato conduceva le sedute, anche mediante l'errato utilizzo della tecnica dell'Emdr, hanno provocato a Paola (nome di fantasia, ndr) un disturbo di personalità borderline e un disturbo depressivo con ansia». Una circostanza impossibile, secondo gli oltre 200 psicoterapeuti e psicologi che hanno contestato la diagnosi, dal momento che un tale disturbo ha, secondo la letteratura scientifica, origini nell’infanzia. Foti, secondo il giudice, avrebbe però «veicolato in Paola il convincimento di essere stata oggetto di plurimi abusi sessuali e vessazioni psicologiche», provocando in lei grande sofferenza. Presunti abusi della quale è stata lei stessa a parlare prima ancora della terapia - alla zia e alla madre -, ma il cui ricordo, secondo il giudice, sarebbe stato invece instillato da Foti, che l’avrebbe spinta ad odiare il padre, in un processo di demolizione della sua figura condannato dal giudice, nonostante sia lui stesso a definire l’uomo un «violento». Da qui lo sviluppo di un disturbo di personalità borderline, del quale il percorso psicoterapeutico di Foti avrebbe rappresentato «una componente rilevante», attraverso modalità «scorrette ed invasive», dunque, suggestive, di cui non poteva non essere consapevole, motivo per cui è stato riconosciuto il «dolo diretto».

Nulla di tutto ciò secondo i giudici d’appello, circostanza evidente anche dalla visione delle registrazioni di quelle sedute, durante le quali mai Foti aveva suggerito alla ragazza che potesse essere stato il padre a farle male. La pm Valentina Salvi, nel corso della requisitoria, ha citato il mancato rispetto, da parte di Foti, della famigerata Carta di Noto, un documento che raccoglie le linee guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore nei casi di abuso che in questa indagine viene considerato come una “Bibbia” da cui non deviare. Tale strumento, però, viene ritenuto valido come altri a disposizione degli psicologi e indirizzato al lavoro psicologico-forense più che a quello clinico, il cui rispetto, secondo diverse sentenze della Cassazione, non può essere considerato un imperativo. Ma se anche lo fosse, ha evidenziato Bauccio, è stata proprio la psicologa Rita Rossi, consulente dell’accusa e autrice della diagnosi, a violare le linee guida della Carta, che prescrive più incontri e più test, arrivando invece ad una conclusione senza sottoporre questionari e all’esito di un solo incontro.

«La Corte d'Appello ha fatto giustizia di un processo basato sulla superstizione e sulla caccia alle streghe - ha commentato il legale -. Sono stati anni di persecuzione che hanno permesso a molti di costruire carriere, improvvisare tribunali e condurre proprie redditizie campagne scandalistiche senza alcun fondamento e verità. In questi anni è stata criminalizzata la psicoterapia del trauma, è stata accreditata la favoletta dei bambini rubati alle famiglie per essere dati in pasto a famiglie lesbiche, una poltiglia di menzogne, cultura razzista, speculazione politica. Nel mezzo tanti innocenti che hanno pagato pesantemente questa caccia alle streghe. In Italia - ha aggiunto - vi è un serio problema di garantismo verso il presunto innocente, è sufficiente che una procura avanzi una ipotesi di reato e, se conviene, si scatena la gogna e la lapidazione del sospettato. Tutta la vita, privata e professionale di Claudio Foti è stata colpita e denigrata, e oggi possiamo dire finito un incubo durato quattro anni. Con oggi muore la leggenda di Bibbiano e rinasce la verità di una comunità di professionisti che hanno voluto perseguire solo la protezione del minore». Una leggenda alimentata dal podcast “Veleno”, che ambiva a riscrivere la storia dei diavoli della Bassa modenese, confermata invece da tre sentenze e due tentativi di revisione. «Foti rispondeva di lesa “podcastità”, di lesa e offesa alla giustizia delle serie televisive», ha concluso il legale.