Lo psicoterapeuta di Bibbiano andava arrestato perché aveva un’opinione. Secondo l’ordinanza che quattro anni fa autorizzò le misure cautelari (poi annullate) per Claudio Foti, condannato nel processo “Angeli e Demoni” per lesioni gravi e concorso in abuso d’ufficio (nessuna accusa di affidi illeciti), il «peculiare atteggiamento» che denoterebbe il «tasso potenziale di criminalità» dell’indagato deriverebbe dall’aver criticato un podcast: “Veleno”.

Una critica che farebbe di lui un «tipico autore per convinzione», come si evincerebbe dalla «saccente presunzione, priva di qualsiasi deviazione dal dubbio incrollabile di essere dalla parte della ragione, con la quale commenta durissimamente l’inchiesta giornalistica» di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, autori del podcast, che aveva l’aspirazione di riscrivere la storia dei “diavoli della Bassa Modenese”, la vicenda giudiziaria che a fine anni ‘90 portò a condanne per 157 anni di carcere per abusi su minori.

Una convinzione imperdonabile, per il giudice, nonostante siano stati ben 70 suoi colleghi, in diversi momenti, a stabilire la veridicità degli stupri denunciati da decine di bambini. E, dunque, il fatto di aderire ad una verità riconosciuta processualmente - criticabile, ma comunque definitiva - certificherebbe il curriculum criminale di Foti. Il particolare emerge nel libro “Bibbiano: dubbi e assurdità”, scritto dal Comitato Giobbe e presentato lunedì al Teatro Belli di Roma. Un lavoro corposo, nel quale vengono analizzate passo per passo il processo mediatico, le conseguenze sulle politiche di tutela dei minori e le incongruenze giudiziarie.

Ma soprattutto si delinea un quadro preciso del punto di partenza: un’inchiesta giornalistica - nata perché «era una bella storia», secondo i suoi autori -, fondata sulla ritrattazione, a distanza di anni, di due vittime su sedici (le altre, riunite nel comitato “Voci vere”, continuano a ribadire di essere state abusate) e che mirava a far riaprire i processi. Ma alle tre sentenze di merito, negli ultimi tre anni, se ne sono aggiunte altre due: quella della Corte d’Appello di Ancona e quella della Cassazione, nel 2021, che hanno respinto la richiesta di revisione del processo certificando «la solidità dell’impianto logico/argomentativo delle sentenze impugnate» e ravvisando «l’inidoneità degli elementi nuovi a scalfire la decisione di cui viene chiesta la revisione».

Ma quali erano gli elementi nuovi a sostegno della tesi di una macchinazione ai danni dei genitori coinvolti in quel caso di 20 anni fa? Il meglio noto “caso Bibbiano”, che secondo gli autori di “Veleno” sarebbe stato la conferma della tesi contenuta nel loro lavoro giornalistico. Un fatto strano se consideriamo che “Veleno” rappresenterebbe, invece, il punto di partenza dell’inchiesta sugli affidi in Val d’Enza: «I Carabinieri ci hanno ringraziato perché abbiamo fornito loro una chiave investigativa che prima non avevano», ha affermato lo stesso Trincia in un’intervista.

La chiave investigativa si fonderebbe su un fatto: il presunto aumento vertiginoso di affidi in Emilia, che avrebbe fatto sospettare di un sistema messo in piedi dai servizi sociali per lucrare. Sistema che, per la procura, sarebbe rappresentato da otto casi su centinaia di affidi (sempre decisi dal Tribunale per i minori) evidentemente considerati legittimi, in un contesto in cui, secondo i dati a disposizione - consultabili anche prima dell’indagine - non vi sarebbe stata alcuna anomalia numerica in fatto di allontanamento dei minori. Tant’è che la Commissione parlamentare messa in piedi dall’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per certificare l’orrore ha fatto emergere una realtà totalmente differente: l’Italia è il Paese con il minor numero di allontanamenti in Europa. Un dato non necessariamente positivo, dal momento che potrebbe indicare un vuoto di tutela, come ipotizzato dall’Onu. «I dati sui minori fuori famiglia relativi all'Italia - si legge nella relazione finale, passata sottotraccia - indicherebbero una minore propensione all'allontanamento (2,8 per mille, a fronte del 10,5 della Germania, del 10,4 della Francia e del 6,1 del Regno Unito)». Insomma, nessuna emergenza. Se non fosse che il marasma suscitato da “Angeli e Demoni” ha provocato l’effetto opposto rispetto a quello che, almeno a parole, veniva predicato nelle ore convulse dopo il blitz - che per uno strano caso è coinciso con la violentissima campagna elettorale in Emilia Romagna -: la crescita del ricorso alle comunità rispetto gli affidi, con impennata dei costi sociali e umani, dal momento che il ricovero nelle case famiglia costa sette volte in più rispetto all’affido.

«In nome del garantismo verso coloro i quali erano stati indagati e imputati a Modena nel processo dei diavoli della Bassa - ha spiegato nel corso dell’incontro Luca Bauccio, legale di Foti, per il quale la sentenza d’appello è prevista il 6 giugno -, un garantismo posticcio, ritardatario, ci siamo inventati un altro colpevole al quale abbiamo ridotto i diritti che si vogliono restituire a quegli altri. È questa l'assurdità, che sconta il fatto che le premesse non sono genuine». In quell’ordinanza, conclude il legale, veniva spiegato come Foti dovesse «essere privato della libertà personale perché ha un'indole, ha una tendenza: siamo nella colpa d’autore, una superstizione, una chimera, un obbrobrio giuridico. Il diritto moderno, il diritto praticato nel mondo ripudia la colpa d'autore perché trasferisce dai fatti al profilo della persona il tema della responsabilità e della verità. E quindi si ricostruisce la fisionomia e quasi la reputazione criminale del soggetto attraverso questi tratti che andiamo a incollare per formare una figura che poi giustifica e regge tutta una narrazione accusatoria».