È la linea dura, ma “ripulita” di quei passaggi che rendevano il testo sul fine vita indigeribile alle opposizioni e a un pezzo di centrodestra. Ora il tempo della trattativa è finito, e il ddl confezionato dalla maggioranza è pronto a cominciare il suo iter. I due relatori Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia lo hanno consegnato nella tarda serata al Comitato ristretto del Senato, che ora può sciogliersi nell’afa romana dopo mesi di polemiche e rinvii.

Già domani mattina alle 8, infatti, le Commissioni Giustizia e Sanità di Palazzo Madama sono convocate in forma congiunta per adottare il testo base e fissare il termine degli emendamenti. Obiettivo: arrivare in aula il 17 luglio, come da calendario. Salvo colpi di scena e voti “imprevisti”, su un tema che lascia ai partiti sempre libertà di coscienza.

D’altronde il risultato «è il frutto di una mediazione, ma non al ribasso», commenta Zanettin a margine della riunione. «Il testo è stato condiviso da tutta la maggioranza – spiega - ci sono alcune riserve da parte delle opposizioni ma cercheremo di lavorare al meglio per portare a casa una legge attesa da sei anni». Ovvero da quando è arrivato il primo monito della Corte Costituzionale con la 242 del 2019: la sentenza da cui parte anche il testo della maggioranza, precisa il relatore di Forza Italia, prima di ribadire che quello al suicidio non è un diritto.

Il nodo più critico del testo, composto da quattro articoli, resta quello legato al ruolo del Servizio sanitario nazionale, che sarà escluso dai percorsi di fine vita come voleva Fratelli d’Italia. Il farmaco e il personale andranno cercati altrove, fuori dalle strutture pubbliche. Con il rischio di aprire alla “privatizzazione” del suicidio assistito, come ha più volte denunciato il dem Alfredo Bazoli. A decidere sulle richieste sarà un “comitato nazionale di valutazione”, che dovrà verificare i requisiti di accesso stabiliti dalla Corte costituzionale. Sarà di nomina governativa, istituito tramite decreto del Presidente del consiglio e composto da sette membri: un giurista, un bioeticista, un medico specialista in anestesia e rianimazione, un palliativista, uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere.

Il Comitato resterà in carica cinque anni e avrà 60 giorni per decidere, prorogabili di altri 60 in caso di approfondimenti. Se la richiesta è rifiutata – e qui c’è la novità – il paziente potrà ripresentarla dopo 180 giorni qualora abbia maturato le condizioni necessarie. Si riduce, quindi, il termine di quattro anni previsto nell’ultima bozza, che scende a sei mesi, così come salta la dicitura “comitato etico”: due dei punti sui quali le opposizioni avevano annunciato battaglia. Insieme a quel passaggio sulla tutela della vita “dal concepimento alla morte”, inserito inizialmente nel testo, che aveva fatto saltare dai banchi i senatori per un maldestro richiamo anti-aborto.

Nell’impianto del testo resta invece il “percorso di cure palliative” come condizione per accedere al fine vita: un quinto requisito, oltre a quelli della Consulta, previsto tra le cause di non punibilità per chi aiuta il paziente a realizzare il proprio proposito che saranno aggiunte all’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio). Non è chiaro se il percorso debba essere obbligatorio, né come bisognerà intendere i “trattamenti sostitutivi di funzioni vitali” a cui fa riferimento il testo e la cui interpretazione la Consulta aveva allargato con la sentenza 135 del luglio 2024. Di sicuro alle cure palliative e alle terapie del dolore sarà dedicata una norma ad hoc per garantirle su tutto il territorio nazionale attraverso i fondi previsti e un osservatorio dedicato presso l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas).

Un punto “qualificante”, quest’ultimo, anche per ottenere il placet del Vaticano. Dove la premier Giorgia Meloni si recherà domani mattina per la prima udienza da Papa Leone XIV e il successivo incontro con il segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. «Tra l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, ai quali personalmente dico no, c’è la terza strada, quella delle cure palliative: danno dignità al malato. È una questione di civiltà e di democrazia. Se si parte da qui, si parte bene», aveva commentato il vicepresidente della Cei monsignor Francesco Savino. E il tempismo sembra suggerire che l’incontro sarà anche un’occasione proficua per un confronto sul fine vita.

Il tutto prima che la Consulta si esprima sulla legge della Toscana e sull’eutanasia. I tempi sono serrati. E a frenare è l’opposizione, a partire da Alfredo Bazoli: «Questo testo qui è francamente poco digeribile, occorre modificarlo, così non va bene, rischia paradossalmente di essere quasi peggio dello status quo», dice il senatore del Pd. Il quale spera che «sia possibile discutere emendamenti che rendano decente il testo». «In tal caso porterei il mio gruppo a votare la legge», fa sapere Bazoli. Mentre Mariastella Gelmini, prima firmataria della legge presentata da Noi Moderati e inclusa nel ddl, ribadisce che «per noi il SSN resta vocato alla vita».