Può sembrare paradossale, ma forse non lo è, alla luce del tentativo di attribuire anche ad un’assoluzione lo stigma di una colpa. Così Claudio Foti, lo psicoterapeuta coinvolto nell’inchiesta “Angeli e Demoni”, assolto in appello da tutte le accuse, ha deciso di fare ricorso in Cassazione. Con uno scopo ben preciso: chiedere «l’assoluzione con formula “perché il fatto non sussiste” in luogo della formula “perché l’imputato non lo ha commesso”». Il capo d’accusa in questione è quello di abuso d’ufficio, abuso che, secondo i giudici d’appello di Bologna, si sarebbe consumato, ma senza il coinvolgimento di Foti.

Di parere contrario si sono dimostrati la procura generale, che ha depositato la scorsa settimana il suo ricorso, è la stampa ( ciecamente) filo- procure, che ha sfruttato questo passaggio della sentenza per sostenere non solo la colpevolezza di Foti ( comunque smentita), ma anche l’esistenza ( ancora da accertare) di un sistema “malato” degli affidi. Ma è stato omesso un fatto: la posizione di Foti, giudicato in abbreviato, è stata valutata sulla base della documentazione già in atti, il tutto mentre a Reggio Emilia è in corso un articolato processo nel quale le posizioni di chi è accusato per quell’abuso d’ufficio verranno valutate in contraddittorio.

La Corte d’Appello di Bologna, dunque, ha quasi “condannato” imputati per i quali il processo è in corso altrove. La formula assolutoria è piena, ma non basta. E se prima a dirlo erano solo i detrattori di Foti, ora - per ragioni opposte - a farlo è anche il suo difensore,. Foti, secondo i giudici, non ha colpa. Ma ciò potrebbe comunque esporlo ad eventuali richieste risarcitorie civili e di ripetizione, motivo per cui l’avvocato Luca Bauccio vuole smontare anche il reato in sé, ritenuto sussistente, secondo il legale, per una serie di «errori ermeneutici».

Secondo i giudici, si sarebbero verificati due fatti: il conferimento dell’incarico di psicoterapia per “chiamata a voce”, in violazione della normativa sugli appalti, e la realizzazione di un vantaggio economico ingiusto per Foti, che avrebbe applicato una tariffa superiore ai valori di mercato, fatto per il quale basta ricordare il decreto ministeriale 165/ 2016, che chiarisce come il compenso ricevuto risulti persino inferiore al massimo ottenibile. Il vantaggio ingiusto di Foti sarebbe integrato dall’utilizzo de “La Cura”, sede presso cui si svolgeva la psicoterapia del trauma a favore di Asl e Unione dei Comuni della Val D’Enza, «ai fini di ricevere una propria paziente». Tale seduta sarebbe stata svolta, però, «non in alternativa o sostituzione ma “in costanza” del servizio di psicoterapia del trauma», un dato pacifico nel processo. Dunque senza danno per la pubblica amministrazione né un ingiusto vantaggio rilevante ai fini della configurazione dell’abuso d’ufficio. Non è emersa, infatti, una prassi consolidata di utilizzo dei locali senza autorizzazione. Tant’è che la Corte nemmeno ha motivato «sulla rilevanza economica di tale utilizzo». Rinuncia «che affligge sintomaticamente anche il capo di imputazione e la sentenza di primo grado».

Per Bauccio, inoltre, «è errata in diritto e contraddittoria sul piano logico la motivazione secondo cui la decisione di Hansel e Gretel ( la onlus di Foti, ndr) dell’ottobre 2017 di far emettere fattura per i propri servizi relativi a quattro pazienti alla società Sie configurerebbe ex sé un vantaggio ingiusto rilevante ai sensi dell’art. 323 c. p.». Anzi, ciò avrebbe privato la Onlus «dei compensi relativi all’attività di psicoterapia fornita» e non ha creato «un danno alla pubblica amministrazione o a terzi». Le somme orarie già concordate, infatti, «non hanno subito alcuna variazione», circostanza «pacifica».

La violazione della regola non è nemmeno stata individuata e «la decisione di cambiare il soggetto fatturante «è meramente interna e la sua deliberazione non ha coinvolto alcun pubblico ufficiale». Ma c’è di più. I requisiti della volontà del pubblico ufficiale di compiere l’atto e la precisa intenzione di procurare un vantaggio patrimoniale ingiusto «risultano essenzialmente assenti». Tant’è che nel fatto «non è nemmeno ipotizzato il coinvolgimento dell’agente, pubblico ufficiale, il quale non è stato neppure individuato». Anzi, stando alle delibere, la condotta del pubblico ufficiale risulta «dominata dalla finalità di perseguire un interesse pubblico», ovvero «assicurare il servizio di psicoterapia del trauma per i minori che l’ente pubblico non era in grado di curare con proprio personale. Il fine pubblico è dunque manifesto e assorbente e nemmeno sconfessato dalle sentenze di primo e secondo grado».

Manca poi qualsiasi «movente» per motivare l’agente a concedere il servizio di psicoterapia contra legem con il fine specifico di far usare i locali a Foti. I pubblici ufficiali hanno concesso il servizio di psicoterapia esclusivamente alla Hansel & Gretel e «non vi è un solo passaggio delle numerose predette fonti dove viene menzionata la società SIE srl», la cui identificazione con la Hansel & Gretel viene data per scontata e nota al pubblico ufficiale. Tale identificazione non è mai stata palesata «e dunque non poteva essere nota al pubblico ufficiale».

Inoltre, «in nessun modo la mera fatturazione di un servizio reso da terzi può determinare l’imputazione di quel rapporto a chi si è limitato ad emettere una fattura». Senza contare che anche per il capo di imputazione «le prestazioni sono state pacificamente fornite dalla Onlus Hansel e Gretel». Il che vuol dire che la normativa applicabile «è quella sul terzo settore». Da qui la conclusione: «Il pubblico ufficiale non ha commesso il reato di abuso d'ufficio né la procedura di assegnazione è una procedura viziata». Tant’è che il «procedimento amministrativo» è certificato da numerosi atti, a partire dalla delibera 42 del 6.05.2016, «ove espressamente si fa riferimento alla necessità di approntare un luogo finalizzato alla assistenza psicoterapeutica verso i minori», finendo con la delibera 92 del 16.09.2016, «ove espressamente si ratifica l’accordo multilaterale avente ad oggetto il progetto di creazione di un luogo finalizzato all’accoglienza e cura dei minori».