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Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri durante la trasmissione Otto e Mezzo, Roma, Luned“, 27 Gennaio 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prosecutor of Naples Nicola Gratteri during the tv program Otto e Mezzo, Rome, Monday, Jan. 27, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Alcuni anni fa, subito dopo la nomina di Carlo Nordio a via Arenula, il Dubbio profetizzò un dualismo fra il neoguardasigilli e Nicola Gratteri. Finora le incursioni mediatiche, se così possiamo definirle, del procuratore di Napoli nel dibattito sulla giustizia erano state piuttosto occasionali, estemporanee. Ma sempre orientate in una chiara direzione: di attacco alla maggioranza e all’Esecutivo Meloni.
In un’intervista pubblicata stamattina da Repubblica, il capo dei pm partenopei, il magistrato che in Calabria è entrato in conflitto permanente effettivo con l’avvocatura penale, è riapparso con valutazioni piuttosto nette sulle scelte di Nordio e, in generale, del centrodestra. Valutazioni non di totale censura, va detto, visto che Gratteri ha citato come positive le modifiche introdotte esattamente due anni fa dal governo, col “celebre” decreto 105/2023, sull’estensione delle norme antimafia in materia di intercettazioni ai reati non associativi.
Non si è trattato, insomma, di un attacco a prescindere, ma delle valutazioni di un libero opinionista. Alcune di queste opinioni, però, sono assolutamente contestabili.
Innanzitutto, la tesi del procuratore di Napoli riguardo alle monarchie criminali che sopravviverebbero in carcere. Gratteri parla di «boss», i «detenuti di alto spessore», che «ordinano ai più deboli una serie di "favori"», e creano così un sistema di intimidazione tale da contribuire all’aumento dei «suicidi».
Ora, è un’idea, questa, che impone una critica ontologica, per così dire: i boss, i «capi», se sono veramente tali, vengono destinati al 41 bis. Quando proprio si è incerti sull’eventualità che abbiano un pur minimo potere direttivo nell’organizzazione criminale, li si spedisce ai reparti di “Alta sicurezza”, e cioè in sezioni in cui, di poveri disgraziati esposti all’intimidazione dei pezzi grossi, francamente se ne dovrebbero trovare pochi.
La tesi di Gratteri, insomma, non sembra reggere. Non si può spiegare così la spoon river dei reclusi che si uccidono. E ci pare che la maggior parte degli osservatori la pensi diversamente dal magistrato antimafia, anche fra i colleghi in toga: basti pensare alla decisione, riportata da La Stampa di oggi, con cui il Tribunale di Sorveglianza torinese ha concesso i domiciliari a un detenuto con problemi di salute non particolarmente gravi giacché comunque “il quadro di sovraffollamento” genera un disagio capace di “arrecare” in modo assolutamente intollerabile, ai reclusi affetti da patologie, “un surplus di sofferenza e disagio”. Secondo i magistrati in servizio all’ombra della Mole, dunque, la relazione tra il sovraffollamento e gli autolesionismi, che spesso consistono nel gesto estremo di suicidarsi, esiste eccome.
Gratteri affronta diversi dossier. È interpellato sul carcere per via della duplice evasione a Poggioreale, stroncata in poche ore, ma non manca di incenerire per l’ennesima volta la separazione delle carriere e di bollare, in termini generali, la politica giudiziaria del centrodestra come funzionale a sottrarre i «controllori», cioè la politica, ai «controllanti», vale a dire i magistrati, Corte dei conti inclusa. È un altro indizio di una visione assai criticabile: Gratteri continua ad additare la politica come un’infida masnada di mascalzoni che la magistratura sarebbe istitutivamente chiamata a cogliere con le mani nel sacco. E no, caro Gratteri: la Costituzione dice altro, soprattutto quella del 1948, in cui non a caso si era scolpita la piena immunità per i parlamentari, in nome di una separazione fra i poteri che, all’Italia reduce dalla dittatura fascista, sembrò giustamente un requisito indispensabile, per la costruzione di un Paese finalmente democratico.
Gratteri è una controparte strutturale di tutte le politiche giudiziarie che non siano quelle care al Movimento 5 Stelle. Suo pieno diritto. Certo, è un magistrato pesante, il procuratore di Napoli, sul piano mediatico: a breve inizierà la trasmissione sulla mafia cucito perfettamente su di lui da La7. Una novità assoluta, nel rapporto fra magistratura e comunicazione. E insomma, la previsione avanzata su queste pagine subito dopo la nomina di Gratteri a procuratore di Napoli sembra avverarsi man mano più chiaramente. Che poi il suo “protagonismo antagonista” (antagonista a Nordio) sia un balsamo, per gli obiettivi politici della magistratura associata, è da verificare. Il magistrato antimafia calabrese, gli va dato atto pure di questo, è tra i pochissimi, nell’ordine giudiziario, ad ammettere che il Csm, dai tempi di Palamara, non ha “perso il vizio”. Se ripetesse un concetto simile nel pieno della campagna referendaria sulla separazione delle carriere, assesterebbe il colpo di grazia alle speranze dell’Anm. Non è insomma il massimo, come testimonial, per il “sindacato” di giudici e pm. Il che se non altro conferma come Gratteri sia un battitore libero imprevedibile e minaccioso. Non foss’altro perché la “minaccia” di trovarselo contro non riguarda solo i politici.