«Non sarò breve». Salvatore De Luca, procuratore di Caltanissetta, lo ha detto subito, con disarmante sincerità, ai commissari dell'Antimafia. E non lo è stato. Ore di audizione per ricostruire, pezzo dopo pezzo, quello che il suo ufficio ritiene essere il quadro più credibile delle concause della strage di Via D'Amelio. Un lavoro "monumentale", come ha riconosciuto la presidente della commissione alla fine. Un lavoro che punta il dito su una pista precisa: mafia-appalti.

«Abbiamo filoni di indagine aperti su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause delle stragi del ’92», ha spiegato De Luca. «Ma la concausa su cui abbiamo trovato maggiori elementi e maggiori riscontri è proprio mafia-appalti. Altre concause non ci sentiamo di escluderle, ma allo stato o sono in corso oppure non hanno dato alcun esito». Una dichiarazione netta, che arriva dopo anni di lavoro condotto insieme ai sostituti Claudia Pasciuti, Davide Spina e Nadia Caruso.

Il periodo Giammanco sotto accusa

Per capire davvero cosa sia successo, secondo la Procura di Caltanissetta, bisogna delimitare con precisione l'arco temporale. «L'arco cronologico di rilievo è quello in cui presso l'ufficio di Palermo ha esercitato le funzioni di procuratore il dottor Pietro Giammanco», ha spiegato De Luca. Il ragionamento del procuratore è chiaro: analizzare l'attività della Procura di Palermo come un continuum tra l'era Giammanco e quella successiva di Caselli e Grasso significa non centrare il bersaglio.

Dopo la strage di Borsellino, ha ricordato De Luca, cambia tutto. Cambia l'Italia per le due stragi, c'è la forza propulsiva di Mani Pulite che scompagina il sistema politico, cambia lo stesso gruppo Ferruzzi nel 1993. Quando arriva Gian Carlo Caselli, nei primi giorni del gennaio 1993, la musica cambia. «Il procuratore Caselli dà un nuovo impulso a certe indagini», ha riconosciuto De Luca. Ma c'è un problema: Caselli difenderà strenuamente anche l'attività antecedente alla sua immissione in possesso, affermando che tutto è stato regolare. La relazione della Procura di Palermo depositata nel 1999 alla Commissione antimafia è, secondo la Procura di Caltanissetta, «profondamente lacunosa». «In conclusione, il fatto che dopo si siano fatte le cose è per noi un indice ulteriore che prima non si sono fatte», ha sintetizzato De Luca.

La strage: isolamento e sovraesposizione

Secondo la Procura di Caltanissetta, ci sono state due "precondizioni" alle stragi: l'isolamento prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino all'interno della Procura di Palermo, e la loro sovraesposizione. «Vi sono gravi indizi per ritenere che la gestione del filone mafia-appalti presso la procura di Giammanco sia una delle concause della strage di Via D'Amelio», ha detto De Luca.

Il cuore dell'accusa riguarda la gestione del procedimento mafia-appalti. Il 16 febbraio 1991 il Ros dei Carabinieri deposita presso la Procura di Palermo il dossier che riguarda i legami tra mafia, imprenditoria e politica. È una pista "eccezionale", secondo De Luca. «È una fotografia della dottrina Falcone: mafia, imprenditoria e politica. E infatti Giovanni Falcone non ha esitato a mostrare il suo interesse o a lodarla in tutte le sedi possibili e immaginabili». Ma cosa fa la Procura di Palermo? «Dopo due anni non è stata fatta una sola indagine su Buscemi Antonino", ha denunciato De Luca. «Come è arrivata è stata archiviata, non è stato fatto un solo atto di indagini».

De Luca ha dedicato ampio spazio a ricostruire le «situazioni di inopportunità» in cui si sarebbero trovati sia il procuratore Giammanco che il sostituto Giuseppe Pignatone. Non si tratta di accuse di corruzione - De Luca lo ha ribadito più volte - ma di comportamenti che avrebbero creato un'immagine di debolezza all'esterno. Su Giammanco, il procuratore ha ricordato «un'amicizia esibita, ostentata» con l'onorevole Mario D'Acquisto, considerato vicino a Salvo Lima. L'allora procuratore aveva anche «parentele molto difficili» a Bagheria, zona di influenza di Bernardo Provenzano: un cugino di primo grado era dirigente dell'ufficio tecnico comunale e nel 1985 i carabinieri lo indicavano come «collettore della gestione degli appalti».

Su Pignatone, la questione è ancora più complessa. Il magistrato è cresciuto in una palazzina dove 8 appartamenti su 14 erano abitati dalla famiglia di Vincenzo Piazza, noto costruttore poi condannato per mafia. Negli anni Ottanta, la famiglia Pignatone ha acquistato circa 26 immobili dall'immobiliare Raffaello, società in mano a Salvatore Buscemi, Piazza e Bonura. «Si tratta di un immobiliare dove se si riuniscono i soci è una riunione di Cosa Nostra», ha commentato De Luca. Il procuratore ha precisato: «Non stiamo parlando di responsabilità penale, stiamo parlando di situazione di inopportunità». Il punto è che «se io stesso mi sono posto in una posizione assolutamente inopportuna e do l'immagine a Cosa Nostra che c'è una dirigenza debole, io sovraespongo enormemente chi invece viene ritenuto incorruttibile».

Tra i fatti emersi, De Luca ne ha sottolineato uno «gravissimo». Il 6 agosto 1991, Giammanco invia al ministero della giustizia una relazione di sintesi dell'attività sul filone mafia-appalti, allegando il rapporto con tutti gli allegati. «Questo è presumibilmente reato e anche grave. Violazione del segreto istruttorio», ha detto il procuratore. Alcuni magistrati della Procura di Palermo, come Natoli, Loforte e Pignatone, erano a conoscenza di questo invio, ma nessuno ne ha parlato durante le audizioni al Csm del luglio 1992.

La pista nera e l’affondo su Scarpinato

Sulla cosiddetta pista nera, quella che vedrebbe un coinvolgimento dell'eversione neofascista nelle stragi, De Luca è stato ancora più netto: «Ciò che sinceramente ci appare un po' strano è che si insista su un certo filone legato alla pista nera, mi riferisco alla pista Delle Chiaie». Il riferimento è alle indagini basate sulle dichiarazioni di Romeo Maria e del luogotenente Giustini. «Giudiziariamente vale zero tagliato», ha detto senza giri di parole. De Luca ha riconosciuto che lo stragismo di destra in Italia c'è stato storicamente, ma «prova che ci sia stato, sia collegato alle stragi del '92, non ne abbiamo, nessun concreto elemento».

Un passaggio dell'audizione è stato dedicato alle recenti indagini condotte da Roberto Scarpinato, oggi senatore ma all'epoca procuratore generale a Palermo. De Luca ha parlato di un filone «prospettato subito dall'attuale senatore Scarpinato che ha fatto proprio gli ultimi giorni prima di andare in congedo per pensionamento». L'attacco è frontale: «È stato fatto in violazione dell'articolo 11 del codice di procedura penale senza il minimo coordinamento con la procura di Caltanissetta».

Scarpinato avrebbe dovuto semplicemente chiedere se la Procura di Caltanissetta sapesse qualcosa, invece ha condotto un'indagine sulle stragi senza alcun coordinamento. «Appena abbiamo ricevuto gli atti eseguiti dal dottor Scarpinato è successo tutto l'inverso di mafia-appalti», ha raccontato De Luca. «Siamo partiti con l'idea: ragazzi qui c'è una pista eccezionale. Poi abbiamo preso le carte e ci siamo resi conto che era zero tagliato». Parliamo della pista nera che Scarpinato, e mass media annessi, hanno sponsorizzato all’ennesima potenza. Accusando anche Chiara Colosimo di non volersene colposamente occupare. Meno male che non l’ha fatto, altrimenti altri anni e risorse di tempo sprecati.

De Luca ha chiuso la sua audizione sottolineando che ci sono ancora «due grossi capitoli» da approfondire, che riguardano altri procedimenti collegati. «Si vede dalle carte che è un lavoro monumentale», ha riconosciuto la presidente Colosimo. Un lavoro che, nelle intenzioni della Procura di Caltanissetta, dovrebbe finalmente fare chiarezza su una delle pagine più buie della storia italiana. Con una certezza, almeno secondo chi indaga: la pista più solida è quella di mafia-appalti.