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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE TARGA TAR DEL LAZIO INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2023 CARABINIERE
Esiste un principio, nella giustizia, esaltato dalla prassi italiana: la pubblicità del processo. Che una vicenda giudiziaria possa svolgersi, almeno nella fase del contraddittorio, con la massima evidenza pubblica, è garanzia tipica delle democrazie.
Dalle nostre parti, va detto, vige una variante parossistica, del principio: lo sputtanamento sfrenato della persona indagata, praticato fin dall’iscrizione a registro. A essere “pubblico” diventa anche ciò che dovrebbe essere segreto. Vale soprattutto per i politici: c’è un interesse generale a “sapere”, dicono. Bene. Eppure, c’è un procedimento che, al contrario, è del tutto inaccessibile, e siamo sempre in Italia: si tratta del procedimento disciplinare a carico di un magistrato. Lì la conoscenza pubblica è preclusa, anche all’eventuale denunciante autore dell’esposto.
Lo ricorda una sentenza depositata proprio oggi dal Tar Lazio, la 22110 del 2025. Quando si tratta di valutare se le condotte dei magistrati ordinari hanno violato il loro codice disciplinare, i Tribunali sfoderano un riserbo che nelle Procure se lo sognano.
Nello specifico, i magistrati amministrativi hanno respinto il ricorso di un cittadino che aveva subìto una condanna penale all’esito di processi nei quali lo stesso destinatario della condanna riteneva si fosse “configurata una responsabilità dei magistrati”, e ne aveva perciò trasmesso segnalazione alla Presidenza del Consiglio il 13 novembre 2024. Ebbene, è molto chiaro, il Tar Lazio, nel chiudere la porta a qualsivoglia pretesa della persona condannata che voglia sapere se i magistrati che lo hanno ritenuto colpevole saranno “incolpati”, dal ministro della Giustizia o dal pg di Cassazione, dinanzi alla sezione disciplinare del Csm.
Intanto, il ricorso è stato respinto perché non sarebbe stata in ogni caso percorribile la via dell’accesso agli atti amministrativi, dal momento che “il procedimento disciplinare a carico dei magistrati (ed anche la fase preistruttoria dello stesso) non sostanzia un procedimento amministrativo” ma “costituisce pacificamente un procedimento giurisdizionale”. E per carità, chi lo nega.
Ma a colpire è il bunker entro cui è protetta persino la notizia dell’eventuale archiviazione, dei procedimenti disciplinari sui magistrati. Non solo, scrive infatti il Tar Lazio, “può essere data notizia dell’esercizio dell’azione disciplinare esclusivamente al Ministro della giustizia, al Consiglio Superiore della Magistratura ed all’incolpato, ma non al denunciante” (in virtù del “combinato disposto” fra diversi articoli del codice disciplinare dei magistrati ordinari, vale a dire il decreto legislativo 109 del 2006). Non solo.
Perché, sanciscono senza esitazione i magistrati amministrativi, “il provvedimento di archiviazione, con cui può essere definitiva la fase predisciplinare, è comunicato al solo Ministro della giustizia il quale, se dissente, può esercitare l’azione disciplinare”. Insomma: il percorso di un’attività processuale a carico di un giudice o di un pm è protetta da un vero e proprio fuoco di sbarramento normativo. Giustissimo. Sacrosanto: nessuno deve essere sputtanato per un’indagine scaturita dall’esposto di chi, magari, non aveva elementi concreti ma voleva semplicemente danneggiare la reputazione della controparte. Sono concetti così limpidi, incontestabili, che verrebbe voglia di metterseli in cornice.
Certo, poi ti viene in mente Leoluca Orlando. Rivedi l’ex sindaco di Palermo al tempo della Rete, quando andava in tv dopo aver bersagliato l’avversario politico di turno con un esposto che causava l’automatica apertura di un’indagine e, davanti alle telecamere, così urlava al “nemico”: “Lei è un indagato!!!”. E grazie: l’aveva fatto indagare lui! Orlando, vista la materia penale, riusciva evidentemente a sapere dell’avviso di garanzia recapitato al destinatario ben prima che si potesse parlare di archiviazione o di rinvio a giudizio. Proprio la perfetta proiezione dell’impenetrabilità opposta dal Tar Lazio...
Ma battute a parte, il guaio è che lo sputtanamento indiscriminato, nel penale dei “comuni mortali”, si verifica non solo nei casi conseguenti agli esposti: può avvenire, com’è noto, in tutte le inchieste penali, che vengono ritenute evidentemente assai meno segrete e impenetrabili.
Ed è proprio la ben diversa “autotutela” prevista per giudici e pm dal “combinato disposto” (giusto per parafrasare il Tar Lazio) di norme e giurisprudenza, a creare un insopportabile privilegio a beneficio della magistratura. Privilegio che rende altrettanto insopportabile la ribellione dell’Anm a una riforma con cui i procedimenti disciplinari a carico delle toghe verrebbero affidati non a un tribunale del popolo assetato di sangue, ma a un’Alta Corte costituita in prevalenza da magistrati di Cassazione. Ma non azzardatevi a dirlo, la lesa maestà è dietro l’angolo.


