Costruire una rete nazionale di avvocati capace di affrontare in modo sistemico le criticità dell’esecuzione penale e del mondo penitenziario, con un faro puntato sull’emergenza suicidi e sovraffollamento. È l’obiettivo da cui parte il “cantiere” aperto dal Consiglio nazionale forense, dove ieri si è tenuto un primo incontro operativo promosso dalla sua Commissione per le persone private della libertà personale.

Vi hanno preso parte i referenti per il carcere degli Ordini territoriali, chiamati a raccolta per rilanciare l’azione dell’avvocatura nel sistema penitenziario. Quella istituzionale, spiega il presidente del Cnf Francesco Greco, «deve dare risposte concrete per contribuire a risolvere un’emergenza insostenibile: dal sovraffollamento con oltre 10 mila detenuti in più rispetto alla capienza massima delle carceri italiane e un trend costante di suicidi inammissibile, già 38 dall’inizio dell’anno». Con l’ultimo, tragico, caso registrato oggi a Frosinone, dove un detenuto di 30 anni è morto in ospedale dopo aver tentato di togliersi la vita venerdì scorso.

«Tutti gli avvocati - sottolinea Greco - devono essere in prima linea per garantire tutela della salute, socialità, trattamento ed affettività in carcere. Umanizzare la pena, difendere le garanzie, ricostruire il senso della giustizia: è questa la strada obbligata per uno Stato di diritto». Lo scopo dell’iniziativa è soprattutto culturale, nell’ottica di diffondere i principi posti a tutela dei diritti e riportare la pena nei binari della Costituzione, garantendone il fine rieducativo. Ma con l’intenzione di ottenere anche un risultato tangibile e duraturo nel tempo, rafforzando la presenza dell’avvocatura su tutto il territorio nazionale, come presidio giuridico e civile posto a tutela della dignità di chi è ristretto in carcere. All’interno delle istituzioni preposte, e in tutte le fasi: dai procedimenti davanti al Tribunale di Sorveglianza, istituendo Osservatori distrettuali per velocizzare l’esame delle istanze e rafforzare il diritto di difesa, fino ai tavoli regionali per la sanità penitenziaria. In questa direzione fa scuola l’esempio del Veneto e dell’Umbria, dove i rappresentanti dell’avvocatura già operano nei tavoli interistituzionali.

Individuare e diffondere le buone prassi, d’altronde, è proprio l’obiettivo del fare rete, spiega Francesca Palma, coordinatrice della Commissione Cnf che si occupa del tema. «Lo Stato non può chiedere legalità se è il primo a violarla, come avviene oggi nelle carceri sovraffollate e inadeguate», è la denuncia della consigliera Cnf. Per la quale non bisogna stancarsi di ribadire che «le pene, per Costituzione, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Un primo effetto consiste proprio «nell’esportare la tutela dei diritti anche nel campo carcerario», senza dimenticare i risultati positivi documentati dai dati: ovvero l’abbattimento della recidiva laddove sono applicate misure alternative. Sul fronte del sovraffollamento carcerario, Palma si dice favorevole ad eventuali misure e sconti di pena con valutazione premiale che possano contribuire tempestivamente ad alleggerire le celle sempre più zeppe. In un quadro di degrado che rischia di riportare l’Italia a quelle condizioni di detenzione già denunciate dalla Cedu con la sentenza Torreggiani del 2013.

«A 50 anni dalla riforma penitenziaria, viviamo un’emergenza cronica, aggravata da sovraffollamento, mancanza di personale e un approccio repressivo al disagio sociale. L’80% dei detenuti proviene da situazioni di grave marginalità: servirebbero politiche sociali, non solo penali. Ma c’è anche un dato che dà speranza: il 98,92% di chi ha avuto accesso a misure alternative ha rispettato le regole. Non possiamo rassegnarci ad un futuro in cui, per usare le parole di Filippo Turati di cento anni fa, i luoghi di detenzione in Italia debbano essere definiti come cimiteri dei vivi», spiega Leonardo Arnau, componente della Commissione Cnf. Intervenuto ai lavori di lunedì per tracciare un bilancio alla presenza dell’avvocatura riunita a Roma attraverso i referenti e i vertici dei Coa che hanno preso parte all’incontro.

Al momento sono già cento gli Ordini che hanno nominato propri referenti per le carceri e 24 quelli dotati di una commissione dedicata. Il Cnf ora punta ad estendere questo modello e a renderlo stabile, con commissioni autonome ma coordinate, capaci di rispondere alle specificità locali sulla rotta tracciata dalle linee guida nazionali.

La Commissione del Cnf ne ha individuate 15, che saranno presto diffuse a tutti gli Ordini forensi per armonizzare l’azione degli avvocati nei territori. Tra le priorità si segnala il monitoraggio costante delle condizioni detentive e sanitarie, con un’attenzione rivolta alle scoperture di organico e alle difficoltà logistiche nella realizzazione dei programmi rieducativi. E ancora: protocolli per la prevenzione dei suicidi, l’uniformità nei colloqui difensore-detenuto, il diritto all’affettività, l’inclusione sociale, e il rafforzamento delle misure alternative.

Sul piano operativo, le proposte includono convenzioni con imprese per l’inserimento lavorativo, sportelli per i diritti (dall’anagrafe all’INPS), percorsi di reinserimento anche attraverso borse-lavoro. Tutti strumenti concreti per restituire dignità e garantire reali opportunità a chi è privato della propria libertà, affinché possa ritrovare uno spazio dentro la comunità.