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Stasi e Sempio
La nuova perizia genetica sul delitto di Chiara Poggi non scioglie i nodi e, anzi, riapre una frattura profonda tra le parti. Il lavoro della genetista Denise Albani, oltre novanta pagine depositate nell’ambito dell’incidente probatorio, conclude che la traccia biologica trovata sulle unghie della vittima contiene un Dna compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio, ma sottolinea che quel risultato non ha la solidità scientifica necessaria per essere considerato prova. È un dato che rimette in movimento un caso che dal 2007 continua a generare domande e tensioni, mentre la condanna definitiva di Alberto Stasi resta il punto fermo da cui muovono i difensori della famiglia Poggi.
Le unghie esaminate sono nove, cinque della mano destra e quattro della sinistra, conservate insieme in un unico contenitore. Una scelta tecnica che, secondo Albani, rende impossibile stabilire su quale dito sia stato trovato il Dna maschile. I Ris di Parma, all’epoca dei fatti, avevano escluso la presenza di materiale biologico sotto le unghie, confermando l’idea che Chiara non avesse avuto modo di difendersi. Il lavoro del 2014 del perito Francesco De Stefano, che consumò tutti i margini ungueali in tre sessioni di tipizzazione, aveva concluso che quei profili maschili non appartenevano a Stasi, mentre Sempio non era nemmeno indagato.
La perita Albani critica quelle metodologie e rileva che i risultati ottenuti allora non possono essere considerati “consolidati”. I profili ricavati sono aplotipi Y misti e parziali, che non permettono di attribuire il contributo genetico a un individuo specifico. La premessa scientifica è netta: il cromosoma Y non consente un’identificazione personale, ma solo una compatibilità con un’intera linea maschile.
Nel caso concreto, la compatibilità riguarda la linea paterna di Sempio e un altro contributo ignoto. L’incertezza investe ogni aspetto della traccia: non è possibile dire se il materiale fosse depositato sotto o sopra le unghie, se sia stato trasferito per contatto diretto o indiretto, se la sua origine sia frutto di contaminazione ambientale o di un uso condiviso di oggetti.
L’unico elemento innovativo è il ricorso al software biostatistico utilizzato da Procura e difesa Stasi. Albani ne riconosce l’utilità teorica ma ne critica i limiti, a partire dall’assenza di un database specifico per la popolazione locale. L’analisi restituisce una probabilità da 476 a oltre 2000 volte maggiore che la traccia trovata sulla mano destra appartenga alla linea paterna di Sempio rispetto a due ignoti, e un valore minore ma comunque orientato nella stessa direzione per la mano sinistra. Sono numeri definiti di supporto “moderato” o “forte”, ma costruiti su dati non garantiti, e dunque - scrive la perita - privi della solidità necessaria per fondare conclusioni univoche.
Sul fronte delle altre tracce, tutti gli accertamenti sugli acetati prelevati in casa Poggi sono risultati inutilizzabili o negativi. Nessun reperto riconduce a Sempio. Le tracce sul tappetino appartengono al padre della vittima, Giuseppe Poggi, mentre un profilo maschile rilevato su una cannuccia Estathè è, secondo Albani, «estremamente probabilmente» attribuibile ad Alberto Stasi.
Le reazioni delle parti confermano l’assenza di una lettura condivisa. La difesa di Sempio, rappresentata dagli avvocati Cataliotti e Taccia, sostiene che la perizia valga “zero”, perché fondata su dati scarsi, degradati e misti. I consulenti di Sempio ricordano anche le criticità del database: cinquemila profili a fronte di trenta milioni di uomini in Italia, un campione giudicato irrilevante per validare conclusioni statistiche.
La famiglia Poggi, attraverso i legali Tizzoni e Compagna, denuncia «un massacrante gioco mediatico» che prosegue da mesi e ribadisce che l’unico dato certo è il Dna di Stasi sui reperti che documentano gli ultimi momenti di vita di Chiara. La giudice Daniela Garlaschelli, intanto, ha respinto l’istanza della difesa dell’ex pm Mario Venditti per trasferire il procedimento a Brescia, ritenendo l’ex magistrato privo di legittimazione e giudicando giuridicamente infondata la tesi della connessione tra procedimenti.
Sul fronte opposto l’avvocato Domenico Aiello, legale di Venditti, parla apertamente di “farsa”, accusando la Procura di violare il giudicato con indagini che definisce inutili e costose. Il genetista Marzio Capra, interpellato dall’AGI, sottolinea che nessuno usa il software biostatistico contestato proprio per i limiti dei dati alla base delle valutazioni.
Il 18 dicembre, quando l’incidente probatorio riprenderà in aula, le parti porteranno osservazioni e critiche. Resta però un quadro fragile, costruito su tracce incerte, reperti deteriorati e conclusioni che gli stessi tecnici definiscono suggestive. A diciassette anni dal delitto, il caso Garlasco continua a confrontarsi con un vuoto investigativo che nessuna perizia, finora, è riuscita a colmare.


