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Il sit-in davanti al Tribunale di Vibo Valentia
I lavoratori precari del Ministero della Giustizia assunti con il PNRR e attualmente in servizio presso il Tribunale di Vibo Valentia – Ufficio per il Processo (UPP) – lanciano un appello risoluto al Presidente della Repubblica, alla Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia e alle autorità giudiziarie locali: la stabilizzazione integrale del personale UPP non è più rinviabile.
La richiesta è chiara: mantenere l’attuale organico e la sua distribuzione territoriale, senza tagli né esclusioni.
Un appello, precisano, che non rappresenta una protesta contro il Governo, ma la difesa di una riforma che ha funzionato e che rischia oggi di essere compromessa da decisioni parziali e da un’incertezza divenuta insostenibile.
Reclutati con il D.L. 9 giugno 2021 n. 80, i circa 12.000 addetti UPP – tra funzionari, tecnici, operatori data entry e addetti alla contabilità edilizia – hanno dimostrato con i fatti la loro indispensabilità: i dati nazionali certificano una riduzione dei tempi dei processi mai registrata negli ultimi anni.
Al 30 giugno 2023 il disposition time è diminuito del 19,2% nel civile e del 29,0% nel penale rispetto al 2019, con ulteriori miglioramenti nel 2025: -37,8% nel penale e -27,8% nel civile, superando abbondantemente i target del PNRR.
A Vibo Valentia l’impatto è stato ancora più evidente. L’ispezione ministeriale del 2022 ha riconosciuto un «giudizio ampiamente positivo» a un Tribunale che opera in un territorio complesso, con carenze di organico storiche e un turnover elevato di magistrati.
Gli operatori data entry hanno dato impulso alla digitalizzazione: nel civile, il Tribunale è passato dalle ultime posizioni alle prime dieci nella classifica CISIA 2023; nel penale, l’avvio della piattaforma APP non ha subito le interruzioni che hanno frenato altri uffici giudiziari.
«Abbiamo creduto sin dall’inizio nel progetto UPP – ricordano i lavoratori – mettendo al servizio della Giustizia le nostre competenze nel nostro territorio».
Ma oggi, avvertono, quell’entusiasmo sta cedendo sotto il peso dell’incertezza.
Nonostante le promesse – come quella del Ministro per gli Affari Europei, Tommaso Foti, che aveva indicato la stabilizzazione dell’intero contingente entro giugno 2026 – la recente ipotesi di una stabilizzazione parziale per sole 6.000 unità ha creato sconforto, disorientamento e forte tensione interna.
Stabilizzare solo una parte del personale significherebbe:
• indebolire drasticamente gli uffici giudiziari,
• disperdere competenze altamente specializzate,
• costringere centinaia di lavoratori a lasciare il territorio,
• rallentare una riforma che ha già prodotto risultati concreti.
A pochi mesi dalla scadenza dei contratti, il personale lancia un avvertimento netto: «L’incertezza mina la motivazione e mette a rischio la nostra capacità di lavorare con serenità e rapidità».
Nell’istanza rivolta alle istituzioni, chiedono di essere riconosciuti per ciò che sono: capitale umano qualificato, non numeri da tagliare a bilancio.
E avvertono: senza un intervento serio e tempestivo, il rischio è un progressivo disimpegno forzato, inevitabile conseguenza del malessere psicologico e dell’instabilità che il personale sta vivendo.
Un rischio che non riguarda solo il loro futuro professionale, ma la tenuta stessa della riforma della Giustizia.


