Passano le ore e cresce la suspense per la decisione in arrivo dal Tribunale dei ministri sul caso Almasri. Sono in sospeso le posizioni di quattro figure centrali nel governo Meloni: la stessa presidente del Consiglio, il sottosegretario e titolare della delega sui Servizi Alfredo Mantovano, i ministri dell’Interno e della Giustizia Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. Ma in attesa di sapere se, secondo il collegio di tre giudici costituito ad hoc, i componenti dell’Esecutivo debbano essere processati ( e se vada chiesta l’autorizzazione alla Camera di appartenenza), il governo si difende in altra sede dalle accuse sul rimpatrio del militare libico: lo fa dinanzi alla Corte dell’Aia, che deve valutare se l’Esecutivo Meloni ha violato lo Statuto di Roma in materia di cooperazione nel perseguimento dei crimini internazionali.

Di fatto l’Italia, in questo proprio “memorandum supplementare” (ne era stato già trasmesso uno il 6 maggio scorso), confuta le ricostruzioni avanzate dal procuratore dell’Aia, in particolare rispetto a tre punti: l’impossibilità per Nordio di interferire con la decisione della Corte d’appello di Roma, che aveva scarcerato Almasri lo scorso 21 gennaio; il “peso relativo” della richiesta di estradizione avanzata il 20 gennaio della Libia, richiesta che ha sì “complicato” la valutazione italiana sul caso ma che non ha formalmente determinato il rimpatrio di Almasri (deciso per motivi di sicurezza nazionale); gli errori contenuti nella prima versione del mandato d’arresto trasmesso all’Italia dalla Cpi, errori che il procuratore dell’Aia, secondo Roma, sottovaluta.

Sono argomentazioni non diverse da quelle presentate il 5 febbraio a Montecitorio da Piantedosi e Nordio, e che tendono a “smontare” l’accusa formulata dal procuratore dell’Aia. Non a caso, queste controdeduzioni sono state depositate due giorni fa davanti alla Corte penale internazionale in replica alle contestazioni che il “prosecutor” presso L’Aia aveva trasmesso il 25 giugno. Si tratta cioè di una schermaglia fra Stato italiano e accusa, in cui oltretutto Roma obietta sulla stessa legittimazione del procuratore dell’Aia a intervenire nel procedimento, che non dovrebbe avere carattere “contenzioso- penale” – sostiene la memoria inviata dall’ambasciatore italiano all’Aia Augusto Massari – ma dovrebbe riguardare unicamente la violazione, da parte dell’Esecutivo Meloni, dello Statuto di Roma.

Va detto che, su un piano strettamente “processuale”, la contestazione mossa dal procuratore dell’Aia secondo cui l’Esecutivo italiano avrebbe potuto “sanare il vizio procedurale” ascrivibile alla Corte d’appello di Roma rafforza, sostiene il governo, “la buona fede degli organi esecutivi statutari (in particolare, il Ministro della Giustizia)”, il che “contrasta con la richiesta di deferire l’Italia” dinanzi alla Corte dell’Aia. Da una parte, in effetti, è lo stesso titolare dell’accusa dinanzi alla Cpi a rilevare che “la Corte d’appello di Roma ha erroneamente interpretato la legge nazionale di attuazione (la legge 237 del 2012, che recepisce in Italia lo Statuto di Roma, ndr), laddove tale legge avrebbe consentito l’arresto provvisorio” di Almasri. A tal proposito, il governo italiano scrive: “L’argomentazione secondo cui un’interpretazione della legge 237/ 2012 avrebbe consentito alla Corte d’appello di Roma di convalidare l’arresto provvisorio avvalora in realtà la posizione del governo italiano, secondo cui quest’ultimo non ha interferito in alcun modo con l’autorità giudiziaria italiana, alla quale, nell’ambito del proprio autonomo giudizio, era anche consentito non convalidare l’arresto provvisorio”.

Più avanti il menorandum italiano segnala che “la liberazione del cittadino libico non può essere attribuita a una mancanza di coordinamento tra gli organi dello Stato, bensì all’esito di un corretto controllo giurisdizionale e di valutazione della regolarità della procedura, delineato sia dallo Statuto che dalla normativa nazionale”.

Secondo l’Italia, dunque, il procuratore dell’Aia ignora «il fatto inconfutabile che lo Statuto di Roma stesso richiede l’intervento di diversi organi statali con funzioni distinte, operanti in modo del tutto separato e indipendente», il tutto “in un quadro di Stato di diritto caratterizzato dall’autonomia e dalla separazione dei poteri”.

Non manca il richiamo alle ormai note “incertezze” che l’Italia, e Nordio in particolare, attribuiscono alla prima versione del “mandato d’arresto” emesso dall’Aia a carico di Almasri. Incongruenze relative a «elementi chiave dei presunti crimini, come le date della loro perpetrazione, che il Procuratore qualifica come meri errori tipografici, senza tuttavia riconoscere che tali elementi sono stati successivamente corretti, insieme ad altri elementi essenziali, tra cui la qualificazione giuridica dei reati contestati. Tali aspetti», sostiene l’Italia, «sono essenziali in materia di diritto penale e di procedura penale connessa».