La preoccupazione dell'Europa sta tutta nel ghigno che Ursula von der Leyen ha “spacciato” per sorriso di sollievo nel momento della stretta di mano finale al presidente amricano Trump. Per non parlare della battuta, si fa per dire, di Victor Orban: «Trump - ha detto il leader filoputiniano ungherese - si è mangiato von der leyen a colazione». Insomma, ora bisognerà vedere se l’accordo sui dazi, che per qualcuno è una sorta di “estorsione”, reggerà all’urto delle reazioni europee. A cominciare dalla Francia che, per voce del premier François Bayrou, esprime tutta la sua delusione: «È un giorno buio quello in cui un’alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi», scrive infatti l’uomo scelto dall’Eliseo. E se Fi e Fdi blindano l’accordo, il giudizio di Matteo Renzi è durisimo: «L’accordo tra Stati Uniti ed Europa sui dazi non è un accordo: è la resa incondizionata dell’Europa al sovranismo di Trump. La verità è che i sovranisti fanno male al mondo», afferma nella Enews il leader di Italia viva, che non contento aggiunge: «E se oggi il governo americano festeggia, accordi coloniali di questo genere porteranno sul medio periodo gli Stati Uniti a perdere la propria forza morale ed economica. Con il piano Marshall l’America ha guidato il mondo per decenni, con le tariffe l’America fa del male innanzitutto ai propri alleati europei. Il sovranismo fa male all’Italia, fa male all’economia, fa male alla libertà. E sul medio periodo persino agli americani. Per uno come me, cresciuto con il mito degli Stati Uniti democratici di Kennedy e Clinton, è arrivato il momento di rimpiangere persino la destra di Ronald Reagan, i cui discorsi contro i dazi, non a caso, sono tornati di moda in queste settimane. La destra liberale e liberista non avrebbe mai potuto partorire un obbrobrio economico e giuridico come quello di queste ore. E la destra europea di Kohl, Chirac, Berlusconi, Aznar e ovviamente della Thatcher, non avrebbe mai accettato un accordo del genere».

In Russia, invece, stappano champagne e infieriscono contro l’Europa: «L’accordo è del tutto umiliante per gli europei, poiché avvantaggia solo gli Stati Uniti», scrive su Telegram l’ex presidente russo Dmitry Medvedev. «Aumenta significativamente i costi per l’industria e l’agricoltura in molti paesi dell’Ue, a causa dell’obbligo di acquistare costosa energia americana» e «reindirizza un potente flusso di investimenti dall’Europa agli Stati Uniti».

A questo punto, ha aggiunto, i cittadini europei «potrebbero anche assaltare Bruxelles e impiccare tutti gli eurocrati alle bandiere dei paesi dell’Ue, compresa, ovviamente, la rabbiosa nonna Ursula. Non servirebbe a nulla, ovviamente, ma almeno sarebbe divertente...». Per quel che riguarda l’impatto sulla nostra economia, Confcommercio fa sapere che le prime stime parlano di «un impatto diretto dei dazi al 15 per cento a danno del nostro export ricompreso nell’ordine di 8/ 10 miliardi di euro: impatto cui bisogna aggiungere gli effetti della svalutazione del dollaro. Il tutto in uno scenario di incremento globale delle tariffe commerciali che rende ancora più complessa la ricerca di opportunità su altri mercati esteri, soprattutto per le Pmi esportatrici. Dollaro debole e riduzione del reddito globale incideranno, inoltre, sul nostro turismo, la cui componente incoming ( 52 miliardi di euro nel 2023) costituisce una delle principali voci attive della bilancia italiana dei pagamenti. Si tratta, ora, di reagire con determinazione, facendo leva sulle peculiari caratteristiche di qualità di tanta parte del nostro export e sulla sua conseguente maggiore resilienza rispetto alle variazioni dei prezzi, anche attraverso misure di sostegno.

Inoltre, è davvero il momento di puntare sul rafforzamento della competitività e del mercato interno: in Europa, debito comune per il finanziamento di investimenti in beni pubblici europei (sicurezza, energia, reti infrastrutturali, intelligenza artificiale) e mobilitazione del risparmio anche attraverso l’Unione del mercato dei capitali; nel nostro Paese, compiuta messa a terra del Pnrr, sostegno agli investimenti ed avanzamento del processo di riforma del sistema fiscale».