«Tutto appare surreale, kafkiano» attacca l’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, che torna a puntare il dito contro la «narrazione morbosa e di parte» che circonda il caso Garlasco. Secondo il legale, sarebbero stati «sospesi istituti processuali secolari che presidiano libertà, garanzie e certezza del diritto», a vantaggio di prime pagine «in assenza di indizi e di rispetto per le forme del processo».

L’indagine su Venditti e il nodo delle ipotesi accusatorie

Venditti è oggi indagato per corruzione in atti giudiziari. La contestazione riguarda la presunta ricezione di denaro in cambio della richiesta di archiviazione, nel 2017, di Andrea Sempio, di nuovo al centro dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007. Aiello evidenzia di non aver ricevuto «nessuna nuova notifica» dopo che il Riesame di Brescia ha disposto la restituzione dei dispositivi elettronici sequestrati all’ex magistrato durante la perquisizione dello scorso 26 settembre.

«Si cerca di far passare sotto silenzio una delle più gravi irregolarità degli ultimi anni» sostiene il difensore, criticando una «storia diversa dalla verità, un copione utile a qualcuno». Per Aiello si tratta di «una trama a servizio di interessi non dichiarati ma ben evidenti, che da 8 anni confliggono con un giudicato della Repubblica italiana».

Il riferimento è alla sentenza definitiva che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni di carcere come unico responsabile del delitto di Garlasco. Dopo due assoluzioni e un appello bis, nel 2014 la Cassazione ha indicato Stasi come unico autore.

«Un falso ideologico evidente»

Aiello denuncia «un falso ideologico evidente», ovvero l’idea che «si possa o si debba indagare altri autori in concorso con l’assassino, prima ancora di ottenere la revisione della sentenza». Una revisione, aggiunge, «più volte tentata e non ottenuta». «Ogni magistrato o pubblico ufficiale ha un preciso obbligo verso il giudicato» ricorda. «Vale la pena chiedersi se questa indagine sia stata per decreto sottratta definitivamente alle aule, ai codici e debba esser condotta soltanto sui media e nei talk show» prosegue Aiello, contestando un sistema che «non serve soltanto la verità ma l’audience», basato anche su «piccole imprecisioni o mancate verità».

Il legale avverte dei rischi di una deriva mediatica dei processi: «Oramai ogni assassino con un giudicato sulle spalle sarà legittimato a reclutare cronisti sbadati, banditori e comparsisti. Ogni condannato potrà cercare la corruzione dell’accusatore o peggio ancora del proprio giudice».