PHOTO
ITALO GHITTI EX GIP MILANO
Era esattamente un giorno di quattro anni fa, l’ 8 dicembre del 2021, quando sul nostro quotidiano il giudice Guido Salvini sganciava la sua bomba. «A trent’anni da Mani Pulite, vi spiego che cosa succedeva nell’ufficio Gip». E raccontava un episodio che lo aveva riguardato negli anni novanta quando era giudice per le indagini preliminari a Milano. Il giudice Salvini non è un testimonial del SI nella prossima campagna referendaria di primavera, ma la sua esperienza di quei giorni rappresenta una prova provata di una prassi, del passato e del presente, che varrebbe da sola l’immediata applicazione della riforma sulla separazione delle carriere.
Del passato, e lo sappiamo, perché a Milano furono costantemente violate le norme sul giudice naturale e sulla competenza territoriale, nel nome del risultato etico di sconfiggere la corruzione con armi improprie. Per quel che riguarda il presente, sarebbe sufficiente andare a spulciare le carte processuali di tutte le inchieste condotte negli ultimi anni in Calabria nei distretti di Catanzaro e Reggio. Alcune ordinanze si premuravano addirittura di citare un paio di sentenze di cassazione che “autorizzavano” il gip all’attività di copia e incolla delle richieste del pm. E al conseguente allineamento.
Per non parlare di quel che sta succedendo, ancora in questi giorni, a Milano, dive un unico gip, Mattia Fiorentini, è destinato a ricevere ogni richiesta della procura nelle inchieste sull’urbanistica. E le accoglie, comprese quelle sulla custodia cautelare, salvo poi essere smentito dal tribunale del riesame. I gip di Milano sono una ventina, proprio come ai tempi di Mani Pulite.
Chissà di che cosa si occupano gli altri 19. Uno di questi, trent’anni fa, era Guido Salvini. E un giorno, era il mese di maggio del 1993, capitò proprio a lui di ricevere dalla procura un fascicolo su presunte tangenti che riguardavano l’azienda romana dei telefoni. Un fascicolo processuale che riguardava fatti, neanche milanesi, che nulla avevano a che fare con il punto di partenza di Tangentopoli, il Pio Albergo Trivulzio.
Pure quel fascicolo portava il numero 8655/ 92, proprio come quello istruito il giorno in cui fu arrestato Mario Chiesa. «Nel giro di pochi giorni - racconta Salvini- prima ancora che potessi decidere su alcune richieste del pool, il fascicolo mi fu sottratto senza tanti complimenti e passò al gip Ghitti, evitando così che non solo io, questo non è affatto importante, ma qualsiasi altro gip dell’ufficio ‘interferisse’ nella macchina di Mani Pulite».
Una prassi più che tollerata da chi allora dirigeva l’’ ufficio Gip, tanto che una nota documentata dal giudice Salvini che segnalava ai dirigenti “la situazione illegittima che si era creata” fu bellamente ignorata. Si potrebbe osservare oggi che l’episodio avrebbe potuto esser segnalato all’opinione pubblica tramite la stampa. Ma ve l’ immaginate la possibilità che cronisti giudiziari che, con pochissime eccezioni, stappavano lo champagne alle informazioni di garanzia a Craxi e giravano per il palazzo di giustizia indossando magliette che inneggiavano a Di Pietro, avrebbero mai pubblicato questa notizia? O che i loro direttori che alle otto di sera concordavano gli stessi titoli per il giorno successivo osannanti a Borrelli e i suoi cuccioli, avrebbero mai preso in considerazione un giudice che avanzava la pretesa dell’autonomia dalla procura? Dovrebbe proprio farlo il testimonial per il SI, Guido Salvini. Anche solo per le parole chiare con cui ha scritto quell’articolo di quattro anni fa. La spiegazione prima di tutto di quanto fosse determinante, in quel momento, lo snodo dell’ufficio dei giudici delle indagini preliminari per l’uso che fu fatto del carcere.
Accogliere o respingere le richieste di custodia cautelare serviva a nutrire “un meccanismo da cui in pratica dipendeva il funzionamento e lo sviluppo di quell’inchiesta sistemica”. Per questo, per il risultato delle stesse inchieste, era importante per la procura di Saverio Borrelli, avere un giudice “direzionato”, già sperimentato, che non creasse difficoltà. Ed evitare di doversi confrontare con punti di vista diversi.
Ecco quindi scovato quello che Guido Savini esplicitamente definisce un “trucco”, cioè la creazione di un registro con il famoso numero del fascicolo di Mario Chiesa, in cui venivano affastellati tutti gli indagati di vicende anche diverse tra loro e che neppure si conoscevano. Tutto era il calderone di Tangentopoli, tutto fu targato 8655/ 92, come se ogni presunto reato nei confronti della Pubblica Amministrazione fosse collegato al Pat. Persino episodi romani, come quelli che riguardavano l’ex presidente dell’Iri Franco Nobili o l’ex ministro di giustizia Clelio Darida, furono infilati in quel registro e affidati alle cure del gip Italo Ghitti, il quale li fece arrestare tutti a due. Inutile ricordare che, quando la competenza territoriale fu infine spostata a Roma, non solo i due furono scarcerati, ma anche prosciolti. Interessante una nota particolare di Salvini sul suo ex collega. “Un paio di anni dopo, nel 1994, vale la pena di ricordarlo, Ghitti divenne consigliere del Csm: un’elezione e un prestigioso incarico propiziati quasi esclusivamente dall’esser stato appunto il gip di Mani Pulite”.
Così vanno le cose del mondo. Quanto a Guido Salvini: “Conservo ancora a distanza di tanti anni una cartellina con quegli atti e la lettere che avevo inviato al capo ufficio. Del tutto inutile. L’ufficio Gip si inchinò e fece una triste figura”. Un po’ come la Monaca di Monza: la sventurata rispose.


