Nella sede del Dubbio si è tenuto oggi un dibattito sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere tra Giovanni Guzzetta, ordinario di diritto costituzionale e pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata”, Giovanna De Minico, ordinario di diritto costituzionale e pubblico all’Università Federico II di Napoli, Francesco Petrelli, Presidente dell’Unione delle Camere Penali (Ucpi), Cesare Parodi, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm).

Da questo dibattito nascerà nelle prossime settimane un e-book e il botta e risposta verrà trasmesso sui nostri canali social. Ma intanto vi diamo un assaggio di quello che è stato il confronto, talvolta scontro, tra i due e i due No, moderati dal direttore del Dubbio, Davide Varì e da chi scrive.

Molti gli argomenti affrontati: dalla cornice costituzionale della norma alle singole previsioni che nel dettaglio andranno a riscrivere l’ordinamento giudiziario. Se per Guzzetta «chi nel mondo ha adottato questo sistema non è finito affatto sull’orlo della dittatura né tantomeno qualcuno ha pensato di copiare il modello italiano», per la De Minico se passasse il Sì «si butterebbero alle ortiche l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Proprio la Consulta, con la sentenza del 30 aprile 1968, n. 44, ha affermato che il Consiglio superiore è stato previsto dalla Costituzione per rendere effettiva la garanzia dell’autonomia della magistratura».

Se per Petrelli «in virtù del rapporto diretto tra il modello processuale e l’ordinamento giudiziario per cui al modello accusatorio deve corrispondere la separazione delle carriere», per Parodi «occorre chiarire che la separazione delle carriere poteva essere fatta anche con legge ordinaria, mentre qui in gioco c’è qualcosa di più importante. La Corte Costituzionale ha ribadito dopo la riforma Vassalli che la figura del pm è compatibile con il nuovo modello. Inoltre è rimasta l’obbligatorietà dell’azione penale».

Abbiamo chiesto poi ai nostri ospiti se davvero i pm influiscono sulle carriere dei giudici. «All’interno dell’attuale Csm i pm sono 5 e i giudici 13. Bastano questi numeri a dimostrare che non è possibile alcun condizionamento» ha risposto Parodi. Guzzetta invece ha lanciato provocatoriamente una domanda rispetto all’attuale assetto del Csm: «Perché una squadra deve partecipare insieme agli arbitri a come organizzare la partita?». Si è poi ovviamente parlato del ruolo delle correnti nel Csm. Secondo De Minico «la Costituzione ha valorizzato il mulinello di idee quando ha pensato alla composizione degli organi collegiali per consentire la diversità ideologica. Inoltre un pm con un Csm solo di magistrati requirenti si sentirà più protetto rispetto ad un Csm misto e un csm di soli pm, in assenza di una presa di posizione del Parlamento sui criteri dell’azione penale, sarà portato ad orientare la politica giudiziaria». Così come Parodi ha affermato che «il Csm nasce quando l’Italia diviene un Paese pluralista». Di diverso parere Petrelli: «Parlare di autogoverno è sbagliato così come è errato pensare al Csm come ad un organo di rappresentanza politica. In più nel Csm ci si distingue per categorie e non per correnti». E Guzzetta ha rilanciato: «Perché l’Anm non ha proposto di inserire gli avvocati all’interno del Csm?». La replica di Parodi: «Già ci sono nella componente laica».

Argomento caldo quello del sorteggio. Parodi ha ricordato che «il 9 luglio 2019 Ucpi condivideva un comunicato in cui criticava aspramente il metodo del sorteggio. Poi oggi Caiazza illuminato sulla via di Damasco dal consigliere Mirenda ha cambiato idea». Petrelli a sua volta ha detto: “«Mi preoccuperei più del fatto che proprio Gratteri, frontman della vostra campagna, è stato sempre a favore» del lancio dei dadi.

Uno dei temi più caldi è il possibile assoggettamento del pm all’Esecutivo. Parodi ha ammesso che «nella norma non è previsto esplicitamente il controllo del pubblico ministero da parte del Governo. Ma nei Paesi dove c’è la separazione delle carriere il potere politico detta la linea alla magistratura requirente. Inoltre come ha ricordato anche il professor Paolo Ferrua che non possiamo certo pensare come un amico dei magistrati nel momento in cui il pm si autogovernerà acquisirà un potere talmente forte che non resterà che metterlo sotto il controllo dell’Esecutivo». Ha replicato Petrelli: «Sono contento che il presidente Parodi abbia abbandonato la tesi di un pm che si trasformerà in un super poliziotto. Peccato che proprio Nicola Gratteri, il frontman del No, sostiene che si trasformerà in un burocrate sonnolento. Sarebbe il caso che vi mettiate d’accordo al vostro interno». E sul punto ha concluso: «A prescindere dalla fisionomia che assumerà il pm avremo un giudice più forte. Un pm cultore della preda avrà dinanzi un giudice cultore delle regole della caccia». Ha aggiunto De Minico: «Il sorteggio non ha funzionato neanche nelle commissioni d’esame universitario, tanto è vero che c’è un disegno di legge per modificarlo. Ma comunque anche l’estratto a sorte continuerà ad appartenere ad una corrente».

Abbiamo poi affrontato la questione del disciplinare. Un articolo di qualche giorno fa del Sole 24ore sosteneva che nel corso dell’attuale consiliatura del Csm la sezione disciplinare ha emesso 194 sentenze di cui 80 condanne, 91 assoluzioni, 23 non luogo a procedere. Può dirsi allora davvero una giustizia domestica? Per Petrelli «innanzitutto l’autodichia non ha mai dato buoni esempi di funzionamento. Inoltre rispetto a quei dati non conosciamo i numeri totali delle denunce arrivate». Per Guzzetta «i dati dimostrano che appena si è acceso il faro sulla questione, al Csm hanno optato per un maggior rigore».

Invece per Parodi «bisognerebbe preoccuparsi del fatto che i giudici potranno essere intimoriti da quel tipo di giustizia disciplinare». E poi «mentre agli avvocati sarà consentito ancora il ricorso per Cassazione, esso verrà precluso ai magistrati». Abbiamo chiesto ai nostri ospiti se con la riforma ci saranno più assoluzioni e meno ingiuste detenzioni. Per Petrelli «al momento il giudice non ha quella cultura del limite rispetto alle richieste del pm. Penso alle intercettazioni ma anche alle richieste di custodia cautelare. Grazie alla riforma il giudice acquisirà quella adeguata distanza dal pm per esercitare con più distacco il suo ruolo a maggior tutela delle garanzie dell’indagato». Invece Parodi ha ricordato che al momento già nel «quarantasei per cento dei casi i giudici assolvono rispetto alle pretese dell’accusa», quindi già questi numeri dimostrerebbero un mancato appiattimento del primo sul secondo.