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PALAZZO DI GIUSTIZIA PALAZZACCIO PIAZZA CAVOUR CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PALAZZACCIO
L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione, ha ammesso le richieste di referendum da parte della maggioranza e dell'opposizione sulla riforma della separazione delle carriere. L'ordinanza, che porta la data del 18 novembre, verrà comunicata al Presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere, al presidente del Consiglio e al presidente della Corte costituzionale e verrà inoltrata entro cinque giorni dal deposito, «ai delegati dei parlamentari richiedenti» (Centro destra alla Camera: Simonetta Matone, Enrico Costa, Sara Kelany; centro desta al Senato: Marcello Pera, Pierantonio Zanettin, Enrika Stefani. Centro sinistra alla Camera: Luana Zanella, Chiara Braga, Riccardo Ricciardi; centro sinistra al Senato: Francesco Boccia, Francesco De Cristofaro, Stefano Patuanelli).
Il quesito da sottoporre a referendum, si legge nell'ordinanza, in base alle suindicate quattro richieste e conformemente a quanto stabilito dall'art. 16 della legge n. 352 del 1970, sarà: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2025?». Dunque nessun riferimento all’espressione «separazione delle carriere»: ipotesi a cui aspirava il centrodestra per poter proporre agli elettori un quesito più mediaticamente spendibile.
Questo invece farà gioco all’Anm che potrà più facilmente dire che il cuore della modifica costituzionale non è tanto la divisione tra pm e giudici quando la riscrittura dell’assetto della magistratura. Ora però tutti si stanno chiedendo quando potrà essere indetto il referendum. Con l’ordinanza Piazza Cavour fa ufficialmente partire il conto alla rovescia che ci porterà alle urne e, norme e calcolatrice alla mano, non si potrà andare oltre Pasqua 2026 che è fissata per il 5 aprile. Vediamo perché.
Su questo parla chiaro l’articolo 15 della Legge 25 maggio 1970, n. 352: «Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza che lo abbia ammesso. La data del referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all'emanazione del decreto di indizione». Quindi, dato che l’ordinanza è del 18 novembre, il range temporale che si apre è tra gennaio e marzo perché leggendo la legge appare chiaro che la macchina si è ufficialmente messa in moto e non occorre più aspettare che qualcuno raccolga ad esempio le 500 mila firme. Considerato pure che nessun partito, da quanto appreso in questi ultimi giorni, aveva l’intenzione e la voglia di farlo è presto detto che entro la fine di marzo ci esprimeremo sul ddl Nordio.
Fonti sia di Palazzo Chigi che di via Arenula fanno sapere che si discuterà nei prossimi giorni su quando convocare il Consiglio dei Ministri. Anche perché la decisione della Cassazione è arrivata nel bel mezzo della bufera tra la premier e Mattarella. Comunque la data più plausibile, come suggerisce il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, è quella di inizio marzo. Pensare di tenere il referendum nel primo mese del 2026 è quasi impossibile sotto diversi punti di vista, basti pensare che col freddo le persone potrebbero rimanere a casa. Da scartare forse anche l’ultima domenica di marzo che sarebbe quella delle Palme.
È difficile immaginare che si voglia portare i cittadini alle urne in un giorno di festività, con l’ipotesi che in molti partono per la settimana pasquale. Sicuramente per il Governo prima si fa e meglio è. Al contrario per l’Anm sarebbe conveniente procrastinarlo per far sgonfiare tutte le polemiche nate in queste settimane e per portare avanti una sempre più performante campagna comunicativa.
E quest’ultima come procede? Dopo lo scivolone di Gratteri su Falcone, ieri anche Nordio è inciampato ma su Licio Gelli. Il Guardasigilli due sere fa all'esterno del carcere di Secondigliano (Napoli), dove era in visita con il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Campania, Edmondo Cirielli, ha detto rispetto alle parole del procuratore generale di Napoli, Aldo Policastro, secondo cui la riforma della giustizia metterebbe in pratica il piano della P2: «Io non conosco il piano della P2. Posso dire che, se l'opinione del signor Licio Gelli era un'opinione giusta, non si vede perché non si dovrebbe seguire perché l'ha detto lui. Le verità non dipendono da chi le proclama, ma dall'oggettività che rappresentano» aveva concluso Nordio.
Per l’ex procuratore Armando Spataro, intervistato da Repubblica, le «parole di Nordio sono inaccettabili, la P2 era eversiva». Mentre per il presidente del M5S, Giuseppe Conte, «le sue uscite estemporanee non sorprendono più, sono uscite sincere come quando ha detto che la legge sulla separazione delle carriere tornerà utile per qualsiasi forza si troverà al governo». A stigmatizzare l’espressione del Ministro anche Angelo Bonelli di Avs e Andrea De Maria del Pd.
Insomma chiunque davanti ad un microfono può incappare in qualche defaillance. E allora i faccia a faccia vanno ponderati con attenzione. Come anticipato ieri dal Fatto Quotidiano Fd’I starebbe pensando per la kermesse di dicembre di Atreju ad un dibattito tra Nordio e un big contrario alla riforma. L’ex pm di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, ha declinato l’invito perché parteciperà solo ad incontri organizzati dalla Fondazione Luigi Einaudi che ha promosso il comitato per il Sì di cui fa parte. L’altra ipotesi potrebbe essere un Nordio contro Gratteri ma le domande sono due: Nordio è pronto a fronteggiare uno tosto come Gratteri? E quest’ultimo è pronto a farsi rivedere in pubblico dopo le gaffe su Falcone?


