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ENRICO COSTA FI
Serve una legge per dire ai giornali come comportarsi davanti ad una assoluzione? Sì. E ne sono profondamente conviti i deputati Enrico Costa (FI) e Simonetta Matone (Lega) che hanno presentato due proposte di legge in materia di pubblicità delle sentenze di proscioglimento ed assoluzione. Il testo, incardinato presso la Commissione giustizia di Montecitorio, si prefigge lo scopo di “riequilibrare” una prassi informativa che, mentre amplifica la notizia dell’indagine, spesso relega - quando va bene - l’innocenza in poche righe. «Dobbiamo ristabilire la corretta informazione», ha dichiarato ieri Costa durante le audizioni in Commissione.
«Si vogliono regolare i conti con la magistratura da parte della lobby degli avvocati», ha esordito Alessandra Costante, segretaria della Federazione nazionale della stampa, testimonial involontaria della necessità di una legge sul punto. Il problema è noto. Le prime pagine e i prime time irrompono sulle case degli italiani con arresti, perquisizioni, avvisi di garanzia. Poi, quando la giustizia archivia o proscioglie, la stessa vicenda scompare o riaffiora in forma marginale. «Una notizia originariamente completa e vera diventa non aggiornata, quindi parziale e sostanzialmente non vera», aveva precisato la Cassazione già nel lontano 2012.
Il codice deontologico dei giornalisti, all’articolo 24, impone che l’assoluzione sia resa pubblica «con appropriato rilievo e adeguata tempestività». Ma gli obblighi deontologici, da soli, non hanno cambiato gli esiti pratici e quanto affermato da Costante ieri ne è la plastica rappresentazione. In assenza di un cambio di passo, anche in considerazione del fatto che l’ottanta percento dell’informazione giudiziaria in Italia, come da una ricerca delle Camere penali, sposa ciecamente le tesi accusatorie dei pm, il ddl Costa obbliga quindi le testate a pubblicare la notizia dell’assoluzione o del proscioglimento con modalità analoghe a quelle utilizzate per dare notizia dell’indagine, e consente al Garante della privacy di ordinare tale pubblicazione a richiesta dell’interessato.
La proposta Matone rafforza ulteriormente l’impianto, prevedendo sanzioni in caso di omissione e introducendo un elemento aggiuntivo: la possibilità per l’assolto di ottenere la «non visibilità ai motori di ricerca e sulla rete internet» delle informazioni relative alla precedente condizione di indagato o imputato. Una forma estesa di diritto all’oblio che, ad oggi, rimane di difficile realizzazione.
Proprio sul perimetro di questo diritto si sono concentrate le audizioni ieri. Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale alla Statale di Milano, ha richiamato la necessità di un equilibrio. «Reputazione, riservatezza e diritto all’oblio devono essere bilanciati con la libertà di cronaca giudiziaria», ha ricordato. Gatta ha messo in guardia soprattutto dalla previsione del ddl Matone sulla «non visibilità online» delle notizie pregresse. Una misura che potrebbe comportare la cancellazione dagli archivi digitali, rendendo irraggiungibili pagine di cronaca giudiziaria anche nei casi in cui altre persone coinvolte siano state condannate o non abbiano chiesto la rimozione. «È una limitazione sproporzionata del diritto di cronaca», ha osservato, ricordando che strumenti già esistono: la deindicizzazione introdotta dalla riforma Cartabia del 2022 che rende la notizia meno rintracciabile pur senza cancellarla.
Il professore ha suggerito alla Commissione di mantenere come testo base la proposta Costa, rafforzandone alcune parti ma senza irrigidimenti. In particolare, risulta “eccessivo” imporre alla stampa l’obbligo di garantire «lo stesso spazio e la stessa evidenza» riservati alla notizia dell’indagine: una prescrizione che collide con la libertà delle scelte editoriali e potrebbe costringere un direttore a mettere in apertura un’assoluzione anche in giornate dominate da eventi di tutt’altra rilevanza.
Per l’Anm, invece, il nuovo diritto alla “buona fama” ipotizzato nel testo Matone è un istituto superfluo, perché la tutela della riservatezza e del diritto all’oblio è già garantita dall’ordinamento. Marcello De Chiara, numero due dell’Anm, ha inoltre rilevato criticità tecniche: la formula “indagato prosciolto” poco precisa, l’assenza di una disciplina delle spese per la pubblicazione, che non possono gravare né sull’assolto né sul direttore, la genericità della previsione sulla non visibilità online, «probabilmente inattuabile» nella pratica.
La pubblicazione della notizia del proscioglimento non è comunque un «rimprovero» alla stampa ma uno strumento per completare correttamente l’informazione senza entrare nel merito della linea editoriale. Durante la giornata di ieri sono poi stati auditi i giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, fondatori di “errorigiudiziari.com”, favorevoli al ddl. «Sono 100mila i soggetti vittime di errori e travolti dalla gogna mediatica», hanno ricordato i due cronisti che da anni raccontano le storie di persone arrestate ingiustamente. «E quasi tutti hanno voglia di far sapere che sono stati assolti o archiviati», hanno aggiunto, sottolineando che ciò «ha effetti positivi proprio in termini di riabilitazione e fornisce loro una ventata di fiducia per il futuro».


