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Cassazione, Sala Avvocati: 4 a favore e 4 contrari visivamente contrapposti nell’emiciclo dei relatori. “Separazione delle carriere: Sì o No?” è il titolo del match, uno dei primi grandi dibattiti sulla riforma costituzionale dall’inizio ufficiale della campagna referendaria. L’evento organizzato dal Coa di Roma ha preso il via con i saluti del vertice Alessandro Graziani, che ha auspicato un «confronto serrato, aperto, leale». E così è stato. Ha preso poi la parola Antonino Galletti, consigliere del Cnf, che ha evidenziato «l’importanza di un tavolo tecnico di confronto sul tema della riforma, prezioso affinché tutti possano farsi un’opinione al di fuori delle chiacchiere da bar o da salotto televisivo». Ha chiuso Davide Bacecci, presidente dell’Unione Ordini forensi del Lazio, che ha ricordato come «avvocati e magistrati, in un corpo unico della giurisdizione e non in un derby calcistico, siano al servizio dei cittadini».


Con la moderazione del direttore del Dubbio, Davide Varì, ha preso così il via la sfida tra le due squadre. Prima a intervenire Giovanna De Minico, ordinaria di Diritto costituzionale alla Federico II di Napoli: «Un Csm diviso è un Csm indebolito, a maggior ragione se gli viene sottratto il potere disciplinare. Il vero obiettivo della riforma è sullo sfondo: non c’è scritto, questo bisogna ammetterlo, ma ci sarà un pm con spalle più robuste, con un Csm tutto suo». Da qui sarà inevitabile «porre il pm sotto l’Esecutivo, e il legislatore potrà farlo senza attivare il 138 della Costituzione, senza passare dall’obbligatorietà alla discrezionalità dell’azione penale: basterà prevedere semplicemente una riduzione delle norme penali a favore dei colletti bianchi». Ha “replicato” Carlo Morace, componente del coordinamento Ocf: «Un contraddittorio è tale solo con l’equidistanza del giudice da pm e avvocato, e questo lo dice la Corte costituzionale. Dopodiché non si può giudicare una riforma con il processo alle intenzioni: per avere un pm sotto il controllo del governo servirebbe una modifica costituzionale, insieme a una riscrittura dell’articolo 69 dell’ordinamento giudiziario».
Si è poi passati a discutere dell’Alta Corte disciplinare. Giuseppe Tango, della giunta Anm, ha ricordato: «Anni 70, il Parlamento ha da poco approvato lo Statuto dei lavoratori ma larghi segmenti dell’imprenditoria non rispettano le nuove regole. Contano su interpretazioni della legge in grado di annacquare le novità, accreditate da dirigenti degli uffici giudiziari, sovente omogenei, all’epoca, alle classi dominanti del tempo. A Milano tre pretori smentiscono con le loro sentenze quelle convinzioni. Le reazioni non fanno attendere: il presidente della Corte d’appello li accusa di fare politica, dispone il loro trasferimento nelle sezioni penali. Il ministro della Giustizia avvia l’azione disciplinare. Viene investito il Csm, che li assolve da ogni addebito. L’indipendenza e l’imparzialità dei giudici erano salve, grazie al Csm. Con la riforma non sarà così, se pensiamo solo che nell’Alta Corte nessuno vieterà di avere collegi con una maggioranza di laici».
Ha risposto Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato per il Sì della Fondazione Einaudi: «Una riflessione critica sull’autodichia della magistratura diventa una tragedia costituzionale. Invece la riforma è l’esito fisiologico della vicenda Palamara: una soluzione alla giustizia disciplinare andava trovata, visto il fortissimo condizionamento politico da parte dell’Anm. Non capisco perché un organo disciplinare che manterrà la maggioranza togata dovrebbe essere un problema. Sentiamo da parte degli avversari un continuo lanciare allarmi per una riforma che sarebbe incostituzionale. Abbiamo dovuto sgolarci per dire che l’articolo 104 resta immutato. Dobbiamo essere seri verso i cittadini».
È stata poi la volta del dibattito sul sorteggio. Il primo a intervenire il professor Giorgio Spangher: «Quando non si riesce a spiegare una cosa si sposta la questione su una deriva autoritaria a cui si andrebbe incontro. Io il giorno dopo il referendum rimarrò a vivere in Italia, ve lo assicuro». E poi rivolto alle toghe: «Seguo i vostri Cdc, non potete negare un certo collateralismo tra correnti e partiti, e questo si riverbera nel Csm. Quando ero consigliere, una volta, per quattro posti di pm, quattro correnti si misero d’accordo e ognuna ebbe il suo procuratore. E allora è giusto fare il sorteggio per tutti, perché tutti si devono svincolare dalle correnti».
Parola a Gaspare Sturzo, del Cdc dell’Anm: «Noi magistrati non veniamo da Marte, professor Spangher, ma dalle vostre aule, dove ci avete insegnato il diritto che abbiamo praticato negli studi legali, fianco a fianco ai voi avvocati, prima del concorso in magistratura. Avere a cuore il bene comune della giustizia è un dato comune a tutti noi, ma questa riforma non risolve nulla. Non introduce alcuna responsabilità per i componenti del Csm per i misfatti descritti da Spangher. Mira solo, come ha detto qualcuno, a “spezzare le reni” all’Anm. Con il sorteggio si vuol privare la magistratura del diritto all’elettorato attivo e passivo, per responsabilità altrui. Nella storia italiana, a mia memoria, la perdita del diritto di scegliere con il voto è stata una vittima collaterale di tangentopoli, con l’eliminazione delle preferenze. Prima, qualcosa di simile, ci riporta ai plebisciti su liste bloccate nel ’ 26, e poi alla selezione per censi di categoria nelle nomine alla Camera dei fasci e della corporazioni».
Tocca a Rocco Maruotti, segretario Anm: «Il caso Palamara è venuto fuori grazie ad altri magistrati che hanno indagato. Da quello scandalo poi, grazie a molti concorsi, la magistratura si è rinnovata. Il pericolo dell’assoggettamento del pm all’Esecutivo lo facciamo derivare dall’interpretazione autentica delle recenti dichiarazioni di Meloni, Nordio, Mantovano». E rivolto a Spangher: «In questi anni la componente laica del Csm avrebbe dovuto portare il punto di vista della società civile, e invece nulla è stato fatto. Lo ha ammesso lo stesso professore dicendo che ha contributo a quel gioco». E poi contro Caiazza: «Quando lei era presidente dell’Ucpi nel 2019 ha firmato un comunicato contro la riforma Bonafede che prevedeva il sorteggio. Adesso improvvisamente siete a favore. E allora sorteggiate anche i presidenti di Coa e Ucpi».
Ha concluso i lavori Francesco Petrelli, presidente Ucpi: «Il controllato, il pm, e il controllore, il giudice, non possono stare nello stesso organismo. Una cosa del genere non è tollerata da nessuna altra parte». E rivolto a Maruotti: «Non mi preoccuperei tanto che Caiazza ha cambiato idea sul sorteggio ma che Gratteri, il vostro frontman, non l’abbia cambiata. Nonostante i vari moniti di Mattarella, le correnti hanno continuato a operare al Csm. Il primo presidente è stato eletto con un solo voto di scarto. Questo significa che le correnti non hanno mai smesso di essere cartelli elettorali».


