«Credo che abbiano ucciso una persona, forse è viva». Sono queste le parole pronunciate il 13 agosto 2007 da Alberto Stasi al centralino del 118. Era il fidanzato di Chiara Poggi, ritrovata poco dopo sulle scale della villetta della sua famiglia in via Pascoli 8 a Garlasco (Pavia), con il cranio sfondato, probabilmente da un martello.

L’arma del delitto infatti non è mai stata ritrovata. Da quel giorno inizia uno tra i casi di cronaca nera del nostro Paese più dibattuti. Le indagini si concentrano subito sullo studente della Bocconi Alberto Stasi, che dopo una settimana dall’omicidio viene formalmente indagato.

Contro di lui diversi elementi: l’assenza di tracce di sangue sulle sue scarpe nonostante avesse attraversato il teatro del delitto; il fatto che la ragazza conoscesse il suo assassino avendolo fatto entrare in casa mentre era ancora in pigiama; la sua bicicletta compatibile con quella descritta dai testimoni; le sue impronte sul dispenser del sapone liquido, utilizzato dall’aggressore per lavarsi le mani dopo il delitto.

 

Il 24 settembre Stasi viene arrestato ma rilasciato dopo 4 giorni. Il primo grado si svolge con rito abbreviato che termina il 17 dicembre 2019 con l’assoluzione dell’imputato. «Emerge un complessivo quadro istruttorio da considerarsi contraddittorio ed altamente insufficiente a dimostrare la colpevolezza dell’imputato secondo la fondamentale regola probatoria e di giudizio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”».

Viene scritto in sentenza che «è emersa come processualmente attendibile la circostanza della presenza di una bicicletta - che non risulta appartenere a quelle in uso o comunque nella disponibilità dell’imputato e che non è stata mai identificata - in circostanza di tempo e di luogo ragionevolmente compatibili con l’aggressione omicidiaria a danno di Chiara Poggi».

La testimone disse di aver visto una bicicletta nera da donna che però non combaciava neanche con quella visionata dai carabinieri (il maresciallo Marchetto fu poi condannato in primo grado per falsa testimonianza, poi arrivò prescrizione) presso il negozio di ricambi auto gestito dal padre di Stasi. Per quanto riguarda le impronte di Stasi miste al Dna della vittima nel lavandino e sul dispenser di sapone in sentenza si dirà che erano antecedenti al delitto. Inoltre, «la passione di Stasi per la pornografia era conosciuta da Chiara già da tempo. Dunque, l’avere eventualmente visto immagini di contenuto pornografico sul PC in uso al proprio fidanzato quella sera non avrebbe comunque dovuto rappresentare un significativo elemento di novità e di sorpresa per la ragazza » tale da diventare un movente per il delitto.

Infine, la ragazza sarebbe stata uccisa subito dopo aver staccato l’allarme, alle 9:12. Frangente in cui Stasi sarebbe stato a casa a lavorare al pc per completare la tesi. Ma sull’orario della morte ci sarebbe da affrontare un capitolo a parte perché l’accusa ha più volte cambiato versione, per contrastare gli alibi di Stasi. L’ultimo indizio riguardava la presenza di DNA della vittima, ricavato da un unico campione effettuato su entrambi i pedali della bicicletta marca “Umberto Dei Milano” in uso a Stasi. La perizia del tribunale stabilì che «i pedali davano sempre esito negativo al test immunocromatografico specifico per l’emoglobina umana, e che le otto microtracce non erano attribuibili a uno specifico soggetto e tantomeno alla vittima».

L’assoluzione viene confermata anche in secondo grado il 6 dicembre 2011. Si va dunque in Cassazione che accoglie i ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili nella parte in cui stigmatizzavano il fatto che i precedenti giudici non avessero fatto una «valutazione complessiva e unitaria degli elementi acquisiti». Piazza Cavour pertanto annulla con rinvio la sentenza di appello e dispone la rinnovazione istruttoria su: camminata di Stasi, capello trovato nella mano della vittima, acquisizione della bicicletta da donna in uso alla famiglia Stasi. Dispone pure di risentire due testimoni. Si celebra l’appello bis e Stasi, con decisione del 17 dicembre 2014, viene condannato per omicidio volontario con l’esclusione però delle aggravanti della crudeltà e della premeditazione.

Le ragioni alla base della decisione: Chiara Poggi aprì la porta di casa in pigiama ad una persona che conosceva. Assenti segni di tentativo di furto. Il delitto fu d’impeto, derivante da forte emotività, e commesso nell’arco di 23 minuti. E il fatto che Stasi abbia poi lavorato alla tesi potrebbe coincidere con la precostituzione di un alibi. Sulla camminata di Stasi e il ritrovamento del corpo si scrive che seppur «nessuna perizia di nessun genere è in grado di stabilire, con assoluta certezza, il percorso» fatto dal ragazzo, tuttavia è «strano» che non si sia avvicinato al corpo per sincerarsi se Chiara fosse ancora viva. Poi le nuove perizie escludono che abbia potuto non calpestare il sangue in casa e trasferirlo sui tappetini della sua auto.

Per quanto concerne la bicicletta «se è vero che nel presente procedimento di rinvio non è stato possibile raggiungere certezze in ordine alla precisa individuazione della bicicletta nera da donna collocata davanti a casa Poggi» è stato comunque accertato che la mattina dell’omicidio Alberto avrebbe usato la bicicletta nera per andare da Chiara, tornando a casa dopo averla uccisa avrebbe lasciato sul pedale tracce del sangue di lei, dopodiché, sapendo di una testimone che raccontava della bicicletta nera, avrebbe scambiato i pedali convinto che gli inquirenti avrebbero sequestrato proprio quella nera da donna.

Per quanto concerne le impronte sul dispenser del sapone, il giudice d’appello valuta in maniera opposta ai suoi colleghi intervenuti prima le risultanze peritali. Ultimo elemento: le nuove perizie individuarono in un paio di scarpe marca “Frau” quelle indossate dall’assassino, che Alberto Stasi aveva a sua disposizione. La difesa aveva comunque «dimostrato che Stasi calzava proprio quelle scarpe durante la celebrazione del processo davanti al Gup di Vigevano, e che lo stesso quindi non aveva mai occultato nulla». Viene comunque condannato. Si va di nuovo in Cassazione.

Da notare che lo stesso procuratore della Cassazione chiese l’annullamento della condanna, con preferenza per il rinvio, ma il 12 dicembre 2015 gli ermellini confermarono la sentenza-bis della Corte d’appello di Milano, condannando quindi in via definitiva Stasi a 16 anni di reclusione. Secondo i giudici «ciascun indizio risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un quadro d’insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi oltre ogni ragionevole dubbio».

Nel 2020 la richiesta di revisione del processo da parte di Stasi è stata rigettata, esito confermato in Cassazione nel 2021. Cinque gradi di giudizio, incongruenze, nuove perizie, ancora dubbi. E il sesto capitolo ancora deve scriversi.