Sono indagini in diretta, quelle a carico di Andrea Sempio, il 37enne accusato per l’omicidio di Chiara Poggi. Indagini sulle quali si può dire tutto, perché ogni giorno si arricchiscono di un nuovo colpo di scena, spesso paradossale, a volte perfino grottesco.

Indagini che sembrano perdere la memoria del passato, nonostante anche quel passato fosse già stato raccontato in diretta, sui giornali e nelle trasmissioni televisive. E dopo l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, accusato di aver intascato soldi dalla famiglia Sempio per favorire l’archiviazione, la vicenda assume contorni ancora più nebulosi. È più facile contare ciò che non torna che esultare di fronte a presunti colpi di scena, tutti da dimostrare.

Il primo punto debole è temporale. La corruzione sarebbe avvenuta – secondo la procura di Brescia, competente sui magistrati di Pavia – a inizio febbraio 2017. Eppure già a gennaio, un mese prima, i giornali scrivevano a chiare lettere che l’archiviazione era imminente. Qualche titolo: Il Giorno, 6 gennaio 2017: «Delitto di Garlasco: si profila richiesta di archiviazione su Andrea Sempio». Ansa, stesso giorno: «Garlasco, verso archiviazione per Sempio». Repubblica: «Delitto di Garlasco, la procura di Pavia verso la richiesta di archiviazione».

Insomma: perché prendersi la briga di corrompere il procuratore, quando la conclusione sembrava già segnata? E perché, in aggiunta, pagare un consulente di peso come Luciano Garofano, generale in congedo dei Carabinieri, per produrre una perizia che – se davvero l’archiviazione era in tasca – appariva del tutto superflua? Perché, poi, non indagare anche i carabinieri che, stando al decreto di perquisizione, avrebbero avuto un ruolo in questa vicenda e che così sono stati ascoltati senza garanzie difensive? Tutte domande che, al momento, non hanno risposta.

Secondo l’accusa, la famiglia Sempio avrebbe avuto accesso privilegiato ad alcune domande d’interrogatorio, proprio grazie a questa attività dietro le quinte. Eppure quei contenuti non erano affatto segreti: i dettagli dell’esposto presentato dalla madre di Alberto Stasi, l’ex fidanzato di Chiara condannato a 16 anni per il delitto, erano già stati sviscerati dai giornali a dicembre 2016.

Sempre Repubblica, il 24 dicembre, raccontava ai suoi lettori della nuova indagine su Sempio, delle tracce di Dna sotto – in realtà sulle – unghie di Chiara, dello scontrino del parcheggio che costituiva l’alibi del giovane, delle telefonate a casa Poggi nei giorni precedenti al delitto. Elementi che la procura di Brescia oggi contesta come informazioni che Sempio avrebbe appreso da Venditti. Ma, ancora una volta, erano già patrimonio pubblico.

Un capitolo cruciale riguarda alcune intercettazioni ambientali mai trascritte nelle due precedenti inchieste su Sempio. In una conversazione in auto, il padre di Andrea, Giuseppe Sempio, avrebbe parlato della necessità di «pagare quei signori lì» con modalità non tracciabili. Soldi che, secondo un’altra intercettazione, sarebbero stati “portati” a qualcuno. Non viene pronunciato nessun nome, ma subito dopo Giuseppe Sempio fa riferimento all’avvocato Massimo Lovati, uno dei tre difensori di suo figlio, che lo avrebbe informato delle voci sulla possibile archiviazioni. Informazione che Lovati, stando a quella intercettazione, avrebbe avuto dall’avvocato della famiglia Poggi.

A seguito del riascolto di quegli audio, la procura ha incaricato la Guardia di Finanza di controllare i conti dei Sempio, rispetto ai quali sono emerse movimentazioni considerate anomale: tra dicembre 2016 e giugno 2017 le zie paterne di Andrea avrebbero trasferito 43mila euro al fratello Giuseppe, mentre nello stesso periodo padre e figlio avrebbero prelevato 35mila euro in contanti. Movimenti sospetti, certo, ma anche giustificabili: in quegli stessi mesi la famiglia Sempio affrontava spese legali ingenti. Una possibile spiegazione alternativa che molti giornali hanno preferito non prendere nemmeno in considerazione.

C’è poi il giallo della consulenza affidata a Luciano Garofano, pagata 6.343 euro e datata 27 gennaio 2017. L’ex comandante del Ris, intervistato da Quarto Grado, ha spiegato di aver analizzato la perizia del genetista De Stefano - depositata durante il processo a Stasi - e la consulenza del dottor Pasquale Linarello, dalla quale dissentiva. Ma secondo quanto riportato questa mattina dal Giornale, quella consulenza non poteva essere accessibile: all’epoca, infatti, risultava ancora formalmente segreta.

Eppure quella stessa consulenza era già “apparsa” in televisione anni fa: il 13 gennaio 2017, sempre durante una puntata di Quarto Grado, si affrontò il contenuto del lavoro di Linarello, che attribuiva a Sempio il dna rinvenuto sulle unghie di Chiara. Fabio Giarda, difensore di Stasi, mostrava in diretta la tabella di comparazione dei profili genetici. È quindi difficile immaginare che quel documento sia rimasto custodito gelosamente nei cassetti della procura e non sia circolato, almeno nei circuiti mediatici.

Tutto si mescola: indagini giudiziarie, rivelazioni giornalistiche, consulenze private. Anche una semplice riunione di famiglia – dopo che gran parte dei parenti era stata sottoposta a perquisizione – diventa, nel lessico giornalistico a vocabolario unificato, un “summit”. Ma davvero sarebbe stato meno sospetto se i Sempio non si fossero proprio incontrati, dopo una giornata come quella di venerdì scorso?

Intanto, sul fronte giudiziario, l’ex procuratore Venditti non è rimasto a guardare. Il suo legale, Domenico Aiello, ha annunciato ricorso al Riesame contro il decreto di perquisizione, sottolineando come gli accertamenti bancari eseguiti a maggio abbiano dato esito negativo: «Se ci fosse stato qualcosa, sarebbe stato valorizzato nel decreto», ha infatti evidenziato il legale. Venditti, dal canto suo, si è detto offeso come uomo e come magistrato: «Ho servito lo Stato per 45 anni, questa accusa è un’ingiustizia».

Il caso Sempio sembra sempre di più sospeso tra due dimensioni: quella delle aule di tribunale e quella dei salotti televisivi, che da anni alimentano un racconto parallelo, fatto di indiscrezioni, voci e colpi di scena. Ogni atto processuale viene anticipato e sempre in momenti cruciali: l’impronta papillare nel luogo di ritrovamento del cadavere poco prima dell’interrogatorio di Sempio, l’indagine su Venditti nel giorno della proroga dell’incidente probatorio. E tutto viene commentato e talvolta deformato da titoli e lanci di agenzia.

E forse è proprio qui che si gioca la partita: nel cortocircuito fra giustizia e informazione, dove ciò che appare conta più di ciò che si dimostra. Nel frattempo, però, la memoria del passato – fatta di date, atti, consulenze e smentite – rischia di dissolversi in un presente in cui tutto è spettacolo e nulla è più reale.