Nemmeno il tempo di assumere l’incarico che sul nuovo consulente della difesa di Andrea Sempio si è abbattuto un processo mediatico feroce. Il 37enne indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, al centro di una delle vicende giudiziarie più controverse degli ultimi vent’anni, ha scelto come nuovo consulente Armando Palmegiani, ex funzionario della Polizia di Stato ed esperto riconosciuto di analisi delle tracce ematiche. Una nomina che avrebbe dovuto rafforzare la difesa, ma che invece si è trasformata subito in un caso dentro il caso.

La figura di Palmegiani è infatti finita nel mirino per alcune dichiarazioni rese nei mesi scorsi e ritenute da molti incompatibili con la linea difensiva. «Sull’innocenza di Andrea Sempio non ho cambiato idea – ha dichiarato a La Presse –. Lo pensavo già prima che venissi nominato consulente. Le mie parole sono state travisate e utilizzate in maniera strumentale perché estrapolate da un contesto più ampio». Una posizione netta, ma che non ha impedito il proliferare di sospetti e insinuazioni.

Il cambio di consulenza è arrivato dopo l’uscita di scena del generale Luciano Garofano, ex comandante dei Ris, che ha lasciato «per divergenze tecnico-scientifiche» con la difesa di Sempio. Una decisione che ha alimentato letture contrapposte: c’è chi parla di normale dialettica all’interno di un team legale, e chi invece intravede un tentativo di sfuggire da un caso scomodo.

La vicenda si intreccia inoltre con l’indagine parallela avviata a Brescia nei confronti di Mario Venditti, ex procuratore capo di Pavia, accusato di corruzione. Proprio questo contesto ha reso ancora più esplosivo l’avvicendamento. Non a caso, commentatori e opinionisti hanno colto l’occasione per leggere nell’addio di Garofano un segnale di sfaldamento. «Soprattutto dopo i colpi di scena dell’indagine parallela – ha scritto Nicola Porro sul suo sito – si ha l’impressione che sia iniziato un fuggi fuggi generale da parte di chi, fino a ieri, riteneva granitica la colpevolezza di Alberto Stasi». Parole che rivelano quanto il caso Garlasco resti una ferita aperta nell’opinione pubblica e quanto la percezione collettiva sia spesso più forte dei riscontri processuali.

Le accuse rivolte a Palmegiani partono da dichiarazioni rilasciate lo scorso giugno, un mese dopo l’iscrizione di Sempio nel registro degli indagati. In quell’occasione l’ex poliziotto aveva parlato del dna sulle unghie di Chiara Poggi come «attribuibile all’Y di Sempio» e aveva definito «un indizio molto forte» la cosiddetta impronta 33, rinvenuta sulle scale dove fu trovato il corpo di Chiara Poggi. Affermazioni che sembravano pesare come macigni, ma che oggi vengono ridimensionate dallo stesso consulente: «Quelle parole erano legate alle informazioni disponibili allora. Oggi posso dire che la traccia 33 non è identificativa per nessuno. La procura parla di 15 punti, ma non si vedono», ha dichiarato a Storie italiane.

Il curriculum di Palmegiani contribuisce a spiegare la risonanza del caso. Dopo 38 anni di servizio in polizia, è stato impegnato in inchieste di grande delicatezza, dall’omicidio del boss Enrico “Renatino” De Pedis al mistero di Elisa Claps. Nel suo settore, quello della bloodstain pattern analysis, gode di una reputazione solida. Dal pensionamento, avvenuto a marzo, continua a essere un punto di riferimento per casi complessi, fino alla scelta di affiancare la difesa di Sempio. Una scelta che lo ha però catapultato in un fuoco incrociato. «Ho appena accettato l’incarico e sono già al centro di un attacco mediatico allucinante», ha confidato al Corriere della Sera.

Il cuore della questione resta quello scientifico: la valutazione delle tracce biologiche. Palmegiani ribadisce che non ci sono elementi che colleghino in modo certo Andrea Sempio alla scena del crimine. «Questo non significa dire che Stasi sia colpevole: ritengo che la sua condanna sia maturata su elementi non sufficienti per andare oltre il ragionevole dubbio». Quanto alla famosa traccia genetica sulle unghie di Chiara, il consulente chiarisce: «È talmente esigua da poter essere il frutto di un contatto indiretto. Non è la prova di un’aggressione».

Sul fronte bresciano, intanto, si gioca un’altra partita. L’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex procuratore Venditti, ha presentato ricorso contro il decreto di perquisizione e sequestro disposto il 26 settembre. Quattro i motivi principali: l’assenza di gravi indizi, l’inesistenza di urgenza, la mancanza di criteri per ritenere che un reato del 2017 potesse emergere dai dispositivi sequestrati e l’illegittimità di quella che viene definita «un’attività esplorativa e arbitraria».

Secondo la procura di Brescia, Venditti avrebbe ricevuto tra i 20 e i 30 mila euro dalla famiglia Sempio per favorire l’archiviazione dell’indagine. Una ricostruzione che poggia su un appunto rinvenuto a casa Sempio e su intercettazioni in cui si parlava di denaro da “portare” a qualcuno. Ma sui conti dell’ex magistrato non è stato trovato nulla di sospetto. La famiglia Sempio, dal canto suo, ha spiegato che la somma era destinata alle spese legali.

Il quadro complessivo resta dunque confuso, sospeso tra ricostruzioni giornalistiche, ipotesi investigative e gossip. Per Palmegiani, chiamato a valutare le prove e non a scrivere un romanzo, la sfida è doppia: difendere la propria credibilità professionale e, al tempo stesso, contribuire a fare chiarezza in un’inchiesta che continua a trascinare con sé più domande che certezze. La vicenda Garlasco, a distanza di oltre quindici anni dall’omicidio di Chiara Poggi, continua così a oscillare tra aule giudiziarie e prime serate televisive, in un intreccio che rende sempre più labile il confine tra diritto e narrazione.