Da giorni il suo nome è tornato al centro del dibattito sul delitto di Garlasco, e Andrea Sempio ha scelto le telecamere della Rai per rispondere alle nuove ipotesi investigative. Nelle interviste rilasciate a Cinque Minuti e Porta a Porta, l’uomo – oggi 38enne, già due volte archiviato e di nuovo indagato – racconta la sua vita sospesa e contesta punto per punto gli elementi al vaglio della Procura di Pavia.

«Un po’ sì, non posso negarlo. È una cosa che periodicamente ricapita, ci ricadi dentro. Capisco che un certo accanimento c’è, spero in buona fede», afferma nel colloquio con Bruno Vespa. La sua esistenza, racconta, si è ristretta a una stanza: «Sono tornato a vivere nella cameretta in cui stavo una volta e a quasi 40 anni sono chiuso lì. È come essere ai domiciliari».

La discussione televisiva rievoca anche il foglio su cui compariva la frase “Venditti gip archivia x 20-30 euro”. Sempio lo liquida come un appunto familiare: «Penso fosse semplicemente un appunto su quanto costava ritirare le carte dell’archiviazione. In casa mia hanno trovato un foglio dove mio padre aveva segnato tutte le spese serie, espresse in migliaia di euro». E aggiunge: «L’elenco dei soldi dati agli avvocati, circa 50mila euro, è stato trovato. Tutte le spese sono sotto il nome di Lovati, ma era un modo generico per indicare tutti gli avvocati».

Il nodo centrale resta però la perizia sul Dna trovato sotto le unghie di Chiara Poggi, su cui è in corso l’incidente probatorio. «Si continua a parlare di Dna nonostante non sia stato trovato un Dna completo», afferma Sempio. «Anche le consulenze più cattive contro di me non arrivano mai a dire con certezza che lì c’è il mio Dna. È una traccia parziale che non si riproduce mai nelle repliche».

Dal punto di vista tecnico insiste su un concetto: «Se fosse una traccia da aggressione sarebbe netta. Qui invece si parla di “forse si legge, forse no”». E sintetizza ciò che, a suo dire, potrà emergere: «Male che vada si dirà che è una traccia non precisa, che forse può essere ricondotta a me, o ai familiari, o a una persona con lo stesso aplotipo».

Uno degli elementi più discussi è l’“impronta 33”, individuata sulla parete della scala dove venne trovato il corpo della giovane. «Ho molti dubbi che sia attribuibile a me», spiega. «Anche fosse, non essendo una traccia insanguinata potrebbe starci. In cantina ci sarò stato tre o quattro volte».

Sempio ripercorre anche le telefonate fatte a casa Poggi la settimana precedente al delitto: «La prima fu un errore, nella seconda chiamai perché cercavo Marco e mi dissero che non c’era. Il giorno dopo richiamai consapevolmente per sapere quando sarebbe tornato». Un comportamento che, sostiene, non sarebbe affatto isolato: «Quello che ho fatto io l’ha fatto anche un amico di Giuseppe Poggi».

Tornando sul movente e sulle modalità del delitto, Sempio si dice convinto che si trattò di un gesto d’impeto: «Per le modalità, per me è stato un delitto passionale». E su Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni, si limita a dire: «La sua vicenda è stata giudicata da persone più competenti di me».

Di fronte a un futuro ancora incerto, l’uomo confida di desiderare solo normalità: «Sogno forse l’oblio, ma vedremo quanto sarà possibile. Non ho paura di girare per strada, non ho nulla da nascondere. È il peso dei media a essere devastante».