Potremmo definirlo il primo di una lunga serie di derby. Martedì prossimo, nel luogo più solenne della giustizia italiana, la sede della Corte di Cassazione, si disputerà una “sfida ufficiale” di fatto inedita, sulla separazione delle carriere, fra avvocatura e magistrati. Non che al Foro e all’Anm sia mancata occasione di incrociare i fioretti, in vista del referendum sulla riforma Nordio, ma il confronto in programma alle 15 del 18 novembre nella Capitale è il primo in cui le due “squadre” scenderanno in campo con la “divisa da gara”, cioè dopo l’istituzione dei Comitati per il Sì e per il No.

A promuovere il dibattito è l’Ordine degli avvocati più grande fra i 140 Coa italiani, quello di Roma presieduto da Alessandro Graziani. E non è forse né un caso né una circostanza priva di vari risvolti: la Capitale è sì un luogo decisivo anche per il processo penale, ma è innanzitutto il teatro, l’epicentro dell’amministrazione di una giustizia che un po’ sfugge al classico paradigma del conflitto politico fra avvocatura e magistrati. A Roma la giustizia è più spesso sbilanciata nella discussione sull’insufficienza degli organici, per esempio nel drammaticamente ingolfato Tribunale di Sorveglianza, e sulle legittime aspettative dei difensori, tanto numerosi quanto troppe volte mortificati nelle loro urgenze di garanti dei diritti.

La polemica sulla riforma Nordio, dunque, non è del tutto sovrapponibile al cuore delle discussioni nel Foro capitolino. Ma proprio per questo, l’incontro organizzato per martedì dal Coa è il perfetto, plastico esempio di dibattito sulle carriere separate che si apre all’intero Paese per accompagnarlo nella complessa disputa referendaria. E forse – a fronte dell’improvvisa cautela che i vertici della magistratura associata hanno adottato nelle ultime ore, a partire dalla rinuncia al duello tv con Carlo Nordio comunicata dal presidente Anm Cesare Parodi – il ritorno al dialogo tecnico sul merito della modifica costituzionale è la scelta più saggia.

Nel caso degli avvocati, è interessante notare che il 18 novembre a piazza Cavour scenderanno in campo le primissime linee del Foro penale: il presidente dell’Ucpi Francesco Petrelli, Gian Domenico Caiazza, che dell’Unione Camere penali è past president, Carlo Morace, che nel coordinamento dell’Ocf rappresenta appunto i i penalisti, e Giorgio Spangher, punto di riferimento degli avvocati nel mondo accademico. Ebbene, toccherà a loro rivolgersi anche ai colleghi civilisti, a quella netta maggioranza dei 235mila avvocati italiani che non ha a che fare con pubblici ministeri e gip.

Sembra strano, ma anche nella professione legale l’adesione al Sì non è così scontata, e ampliarla è forse il primo obiettivo a cui dovranno guardare Petrelli, Caiazza e Spangher, che hanno scelto di procedere “divisi” verso la comune meta, visto che hanno assunto la guida di tre diversi comitati referendari. È un impegno ben noto non solo a Graziani, che presiederà il confronto, ma anche ai due vertici dell’avvocatura che lo introdurranno: il consigliere Cnf Antonino Galletti, già presidente dello stesso Coa capitolino, e Davide Baceccci, al vertice dell’Unione Ordini forensi del Lazio.

Sarà impegnativo per tutti i nomi dell’avvocatura coinvolti misurarsi con i quattro rappresentanti dello schieramento avverso: il segretario dell’Anm Rocco Maruotti, Giuseppe Tango, che nella giunta dell’Associazione magistrati ha la “delega” all’Ufficio sindacale, Gaspare Sturzo, sostituto pg di Cassazione che è componente del parlamentino Anm, e una costituzionalista orientata su posizioni critiche rispetto alla riforma come Giovanna De Minico, ordinaria alla Federico II di Napoli.

Una cosa è certa: in una circostanza simile, che vedrà il direttore del Dubbio Davide Varì nelle vesti di moderatore, avvocati e magistrati dovranno fare i conti con una platea inevitabilmente composta dai rispettivi colleghi, di fronte alla quale le scorciatoie dialettiche e un po’ “iperboliche” ( imboccate, va detto, soprattutto dagli oppositori della riforma) non farebbero presa. Un’occasione per rompere il ghiaccio anche rispetto a un maggior rigore nel dibattito referendario.