In principio fu Goffredo Bettini, “guru” dem e vero architetto dell’alleanza tra Pd e M5S, che per dichiarare il suo sì convinto alla separazione delle carriere andando quindi contro la linea ufficiale del partito scelse niente meno che il Congresso delle Camere Penali a Catania.

«Se la separazione delle carriere è un segnale verso la terzietà del giudizio per me ben venga - disse Bettini - Se c’è l’imputato e due giudici è meglio che i giudici non si sommino ma, al contrario, si distinguano. Non due contro uno. Ma uno e uno. E se c’è un modo per evitare che qualche tipo di sentenza sia al riparo, di reciproche convenienze, di scambio di favori, di un clima politicamente intossicato ben venga il superamento delle correnti di potere nella magistratura, affidandosi a altre vie per la costituzione del Csm».

Una presa di posizione netta che circolava già negli ambienti dem ma che costituisce tuttora il più importante distinguo nel partito rispetto alla linea della segretaria Elly Schlein, la quale ha scelto di abbracciare in tutto e per tutto il fronte del No comandato dall’Anm specificando tuttavia che saranno «due campagne diverse, loro con la loro noi con la nostra».

Ma se tra i parlamentari dem nessuno, nemmeno tra quelli della minoranza riformista, si azzarda a ipotizzare un proprio voto a favore della riforma, basta farsi un giro fuori dall’Aula per capire che tra osservatori e addetti ai lavori di area dem più d’uno si è schierato a favore, e altri alimentano quantomeno il dubbio sulla linea del no a oltranza.

Primo tra tutti il costituzionalista ed ex senatore Pd Stefano Ceccanti, per il quale «la separazione suppone l’idea che il processo non sia uno scontro tra il bene (identificato in un blocco accusa-giudice perché a priori l’accusatore, oltre che il giudice, incarna il bene) e il male (la difesa sarebbe un male, pur necessario, a favore di qualcuno che se sospettato deve aver fatto comunque qualcosa di male), ma una competizione tra verità parziali tra cui arbitra un giudice terzo». Per questo, spiega «l’elettore nel referendum non può che esprimere un giudizio di prevalenza sul merito e qui gli aspetti positivi, di coronamento del nuovo codice, prevalgono».

La linea è quella di Libertàeguale, espressa anche da Enrico Morando in un altro intervento sul Foglio.

«Sì al giusto processo – accusa e difesa su di un piede di parità di fronte al giudice terzo –, perché la Costituzione presume l’innocenza e non la colpevolezza; riforme per reagire al cancro del populismo giustizialista: fu alla luce di questi due principi ispiratori che il centrosinistra, nella seconda metà degli anni 90, guidò il lavoro politico-parlamentare che condusse - nel 1999 - all’introduzione in Costituzione, con voto quasi unanime, del nuovo articolo 111, col principio del giusto processo - scrive Morando - Era la premessa necessaria per giungere a superare l’impedimento strutturale di cui parlava Vassalli più di 10 anni prima. Si può dunque, a buon diritto, sostenere che la sinistra non ha soltanto consentito, ma in larga misura guidato il processo di riforma che può oggi trovare compimento con la separazione delle carriere».

Senza scomodare pezzi da ’90 come Giuliano Vassalli ci ha pensato invece la vicepresidente europeo Pina Picierno a dare voce ha tutti coloro che nel partito hanno quantomeno dei dubbi sulla linea dura e pura del Nazareno. «La separazione delle carriere non è eversiva, la sinistra ne ha spesso riflettuto con cognizione di causa e senza drammi, faccio onestamente fatica a capire ragioni e toni del No», ha dichiarato Picierno a questo giornale non sbilanciandosi tuttavia sul suo voto. Ma aprendo di fatto un altro fronte per la segretaria Schlein, già alle prese con chi, da Paolo Gentiloni a Romando Prodi, chiedono un cambio di rotta rispetto al «radicalismo» attuale perché l’alternativa al governo Meloni risulti finalmente «credibile».

Ieri Prodi ha attaccato l’attuale leadership parlando della necessità di «un riformismo coraggioso, ma concreto, che punti al cambiamento» perché «dobbiamo poter parlare di argomenti veri come tasse, immigrazione, sanità, scuola con le parole giuste, senza un radicalismo che spaventa gli elettori e che nella nostra storia non ha mai paga». Mettendo addirittura in guardia l’attuale segretaria dem da un’eventuale processo “bertinottizzazione” di Giuseppe Conte in una futura alleanza di governo.

Se queste sono le premesse...