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GIORGIO SPANGHER PROFESSORE DI PROCEDURA PENALE
Verrà presentato ufficialmente stamattina presso la storica sede di via di Torre Argentina a Roma il “Comitato Pannella-Sciascia-Tortora per il sì alla separazione delle carriere”. Hanno già aderito centinaia di avvocati come Valerio Spigarelli, ex presidente dell’Unione Camere penali, e Annamaria Bernardini de Pace, il professore ordinario di Diritto processuale penale Oreste Dominioni, il giornalista Vittorio Feltri. Noi ne parliamo invece con il presidente Giorgio Spangher, emerito di procedura penale.
Perché ha accettato questo incarico?
Sono onorato di questa possibilità. Ero legato a Marco Pannella da una profonda amicizia e ho avuto sempre grande stima per tutti gli impegni che egli aveva assunto in materia di giustizia soprattutto, ma pure per le sue battaglie radicali di libertà. Tra i motivi che mi hanno spinto ad accettare c’è in particolare anche il fatto che ero stato tra quelli che avevano scritto, su richiesta proprio di Pannella, la domanda di rimessione da Napoli a Roma del processo ad Enzo Tortora e anche il ricorso alla Cedu. Avevo fatto pure parte nel Comitato del Marongiu per le celebrazioni di Sciascia. Infine grazie alle iniziative con Marcello Pera e Angelino Alfano, e alla mia esperienza quale Consigliere al Csm, ho acquisito un certo tipo di conoscenza soprattutto delle dinamiche consiliari, e quindi mi sono messo a disposizione del Comitato.
Come giudica la campagna di queste prime settimane?
Fortunatamente sta cambiando tono. Siamo partiti con alcune forze politiche dell’opposizione tutte impegnate ad impostarla per minare il consenso verso il governo. Adesso, invece, anche grazie o a causa – dipende dai punti di vista – dello smottamento di alcuni della sinistra verso il Sì quelle stesse forze politiche hanno cambiato strategia.
Lei è un importantissimo giurista. Ma le chiedo uno sforzo di semplificazione: come spiegherebbe ad un cittadino comune perché votare Sì?
L’ordinamento giudiziario attuale è frutto di un Regio decreto del 1941. C’è anche una VII disposizione transitoria che prescriveva di riformarlo in linea con la Costituzione. Già abbiamo modificato l’articolo 111 della Costituzione che sancisce la parità delle armi tra accusa e difesa dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale. Ora è tempo di adeguare l’ordinamento a quella modifica costituzionale.
Che campagna occorre fare affinché il Sì vinca?
Sicuramente non si potrà dire che questa riforma risolve tutti i problemi della giustizia ma certamente cercherà in qualche modo di rafforzare il ruolo del giudice nel suo compito di filtrare gli ampi poteri del pubblico ministero. Il pm potrà serenamente continuare a fare il suo lavoro. Non viene infatti toccata nessuna norma del codice di procedura penale; però nel momento in cui alcune iniziative andranno nuovamente a ledere i diritti dell’indagato o dell’imputato sarà bene avere un giudice che tuteli i cittadini. Questo è lo spirito che anima la riforma: tutelare i cittadini, avere una giustizia al loro servizio, più equa, che eviti gli errori giudiziari, che non permetta alle divisioni interne alla magistratura di danneggiare il sistema giustizia. Questo il messaggio che dovrà passare, lasciando da parte la lotta contro la magistratura e la conflittualità tra poteri.
Qual è a suo dire l’argomento più fallace da parte dei No?
Quello della subordinazione del pm all’Esecutivo attraverso cui si vuole fare intendere che i politici e le persone ricche la faranno franca, come ha detto Gratteri - “arresteranno solo i ladri di polli” -, e impressionare così l’opinione pubblica. Si tratta di una previsione che non esiste oggi e non esisterà domani. Bisognerebbe fare una ulteriore modifica della Costituzione e con essa cambiare l’articolo 69 dell’ordinamento giudiziario che recita che “il pubblico ministero esercita, sotto la vigilanza del ministro” - e non “sotto la sua direzione” come prevedeva prima - “le funzioni che la legge gli attribuisce”. Inoltre difficilmente le varie forze politiche di maggioranza e opposizione accetterebbero una cosa di questo genere nel loro interscambiarsi alla guida del Parlamento. Dobbiamo tener conto che facciamo parte dell’Europa dalla quale recuperiamo, in particolare da quei Paesi che hanno i pm subordinati ai governi, le garanzie interne per rafforzare i poteri del giudice e non quelli della magistratura requirente.
Luciano Violante teme una casta di super pm incontrollati che con massimo arbitrio avranno in mano la nostra libertà. Che ne pensa?
Nessuno può scommettere sulle dinamiche future alla approvazione popolare della riforma. Resta però il fatto che un Csm dei giudici separato da quello dei pm potrà rafforzare l’autonomia degli organi giudicanti. Oggi non può negarsi che esista una certa vischiosità tra pm e giudici.
Non sarebbe anche il caso che il legislatore attuasse una seria riduzione dei reati in modo da togliere lo strumento di indagine dalle mani dei pm?
Il problema non è il numero dei reati che indubbiamente sono eccessivi. Il problema è che nel processo mancano istituti giuridici come la prescrizione, l’amnistia e l’indulto. Occorrerebbe dunque attuare politiche di depenalizzazione, trasformare i reati in contravvenzioni, isolando però la criminalità organizzata da questi percorsi premiali.
Cosa ne pensa in particolare dell’uso e abuso del pensiero dei morti come Falcone e Borsellino?
Sono contrario all’idea di giocare con le figurine. A prescindere dall’infortunio in cui è incorso il procuratore Nicola Gratteri, cercare di accaparrarsi dei nomi in base a vecchie dichiarazioni mi sembra un dato inopportuno. C’è una stagione politica indubbiamente passata ma ce n’è anche una recente all’interno della quale il referendum va collocato in assoluta continuità con lo spirito che ha animato l’iniziativa a favore della separazione da decenni. Per fortuna, dopo l’episodio di qualche giorno fa forse tutti la smetteranno di fissare bandierine e passeranno a spiegare perché è necessaria oggi questa riforma.
Cosa ne pensa del fatto che il presidente dell’Anm abbia deciso di rinunciare al confronto con Nordio per evitare l’accusa di politicizzazione?
Non conosco le dinamiche interne all’Anm ma forse non hanno voluto enfatizzare uno scontro con la politica. Nordio è il ministro della Giustizia ed esprime un orientamento largamente maggioritario, ha firmato quel provvedimento che, tra l’altro, è anche governativo. In questa cornice bene ha fatto l’Anm a sottrarsi da questo tipo di confronto.
Secondo lei, quando Meloni o Mantovano sostengono che la riforma serve per evitare le invasioni di campo della magistratura non svelano le reali intenzioni del governo che nulla hanno a che fare col giusto processo?
Mantovano, e con lui la premier, da politico e da giurista, vive con l’esigenza quotidiana di dare delle risposte ai cittadini con l’auspicio di trovare nella legge le soluzioni per risolvere dei problemi. Poi però incappa dinanzi ad interpretazioni che possono essere anche diverse, legittimamente o strumentalmente, in quanto il diritto non è matematica e talvolta viene interpretato ideologicamente dai magistrati. Certo, usare questa argomentazione per rafforzare la necessità della riforma costituzionale non regge.


