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I ministri Nordio e Piantedosi
Non ci sarà alcun processo per i ministri Carlo Nordio (Giustizia), Matteo Piantedosi (Interno) e per il sottosegretario Alfredo Mantovano. I tre esponenti di governo, accusati di aver liberato e rispedito in Libia su un aereo di Stato Osama Almasri, capo della Rada libica e noto torturatore, sono stati “salvati” dalla Camera dei deputati che ha votato contro l’autorizzazione a procedere: 251 voti per Nordio, 256 per Piantedosi e 252 per Mantovano. La maggioranza ha così evitato l’apertura di un processo, dopo la decisione, tra il 19 e il 21 gennaio 2025, di rimpatriare Almasri, arrestato a seguito di un mandato della Corte penale internazionale.
Accusati di favoreggiamento, peculato e omissione di atti d’ufficio, i ministri e il sottosegretario sono stati difesi dalla maggioranza, che ha sostenuto come la scelta fosse dettata da ragioni di sicurezza nazionale. Rimane aperto il fascicolo su Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro Nordio, indagata dalla procura di Roma per false dichiarazioni. Un’ipotesi di reato autonoma, secondo il capo della procura, Francesco Lo Voi, ma non per la maggioranza, che invece vuole sottoporre la sua posizione alla Camera.
È l’azzurro Pietro Pittalis, relatore di maggioranza, a ribadire il punto, chiarendo definitivamente anche la natura politica delle decisioni prese dal governo, fatte passare come “tecniche” durante le comunicazioni all’Aula fatte a febbraio da Nordio e Piantedosi. Si sarebbe trattato di una questione di «sicurezza nazionale» e non - come contestato dal Tribunale dei Ministri - di un tentativo di «sottrarre Almasri al mandato della Corte penale internazionale».
Per Pittalis, la relazione del Tribunale dei ministri sarebbe stata piena di «vizi procedurali», con una «evidente forzatura giuridica», di fronte a membri di governo che avrebbero agito «per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante», dato il rischio per la sicurezza e per gli interessi diplomatici e commerciali italiani in Libia. Un rischio «concreto» di ritorsioni, «aggravato dal ruolo apicale di Almasri nella Rada Force» e condiviso da Aise, Aisi, Dis, Capo della Polizia e ministro dell’Interno. «In una situazione così complessa, che cosa avrebbe potuto o dovuto fare di diverso il governo?», si chiede Pittalis, che parla di un «caso di scuola», un’azione a tutela di «un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo».
I ministri, secondo il forzista, non avrebbero mentito in Parlamento, ma omesso per tutelare la sicurezza nazionale e proteggere dati classificati. «Non dire tutto non equivale a dire il falso», spiega Pittalis, negando qualsiasi ricatto da parte della Libia o «resa a poteri stranieri» : si sarebbe trattato solo di «una misura precauzionale per preservare vite umane e interessi nazionali in un contesto eccezionale». Per quanto riguarda Bartolozzi, invece, sarebbe emersa «una possibile connessione teleologica» e, dunque, «la posizione di co- indagato laico», dal momento che «le asserite false informazioni sarebbero state rese in relazione ai medesimi fatti per i quali al ministro sono attribuiti reati funzionali».
Parla a braccio, invece, il relatore di minoranza, il dem Federico Gianassi, secondo cui la vicenda «ha umiliato il governo italiano, che è apparso debole nella gestione di situazioni complesse nello scenario internazionale». Un governo che avrebbe subìto «la pressione e la minaccia di un gruppo armato libico» e avrebbe messo in atto una «strategia» omissiva «per determinare la liberazione di Almasri» e consentirgli di tornare in Libia, dimostrando debolezza «anche di fronte alla banda dei tagliagole». Applausi dall’opposizione che, però, non vota compatta: una ventina di deputati della minoranza si schiera infatti contro l’autorizzazione a procedere.
Di certo, come annuncia Davide Faraone in aula, Italia viva sceglie di “salvare” Piantedosi, che pochi giorni fa, per inciso, ha partecipato alla Leopolda. «Liberare Almasri è stato come cedere a un’estorsione», dice il 5 Stelle Federico Cafiero de Raho. Caustico il dem Matteo Orfini: «Noi avevamo capito che il preminente interesse pubblico di questo Paese fosse quello di combattere i trafficanti di esseri umani in tutto il mondo. Almasri era già in carcere e voi l’avete liberato per riaccompagnato a continuare a trafficare esseri umani, mettendo così a rischio gli interessi del nostro Paese - incalza -. Sostenete che il motivo fosse il timore di rappresaglie, ma da parte di chi? Della milizia Rada?». La stessa milizia, sottolinea, che «ha rapporti strutturali con i nostri servizi segreti e collabora attivamente con l'Italia» e alla quale «è affidata la sicurezza dei cittadini italiani in Libia, una scelta che è stata fatta da questo governo».
Da qui l’invito a non rinnovare il memorandum Italia- Libia, dal momento «che quelli che noi armiamo e addestriamo mettono a rischio la sicurezza dei nostri concittadini». In aula anche la premier Giorgia Meloni, che a operazioni concluse riceve il sostegno dei suoi ministri e il baciamano di Nordio. Ministro che vota per scudare i colleghi, non parlamentari, ma non per sé. E il guardasigilli, al termine del voto, difende di nuovo la sua capa di gabinetto. «Speriamo che il capitolo su Bartolozzi si chiuda come questo», sottolinea, criticando poi duramente il Tribunale dei Ministri. «Da modesto giurista lo strazio che ha fatto delle norme più elementari del diritto è tale da stupirsi che non gli siano schizzati i codici dalle mani, ammesso che li abbiano consultati - afferma -. È andata come doveva andare».
Il capogruppo di FdI, Galeazzo Bignami, gongola all’idea dei «franchi tiratori dell’opposizione». Una rivincita dopo il caso Ilaria Salis, che pure viene tirata impropriamente in ballo in aula come picchiatrice acclarata, in barba alla presunzione d’innocenza. Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, prova a suscitare vergogna, mostrando in aula le foto delle vittime di Almasri. «Le ha mai viste queste immagini? - urla rivolgendo si a Nordio -. Sono uomini e donne torturati e voi avete liberato questo uomo: vergognatevi».