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Almasri
Forse le argomentazioni del centrosinistra sul caso Almasri sono deboli. Tali appaiono anche dopo il voto con cui ieri la Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio ha respinto (grazie ai 13 “no” del centrodestra contro i 6 “sì” delle opposizioni) la richiesta di mandare a giudizio i tre componenti dell’Esecutivo accusati dal Tribunale dei ministri: Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano.
La conta nel “tribunalino” della Camera ha decretato la non approvazione del documento con cui il relatore Federico Gianassi, del Pd, aveva appunto chiesto che ministri e sottosegretario finissero alla sbarra. E appunto, le argomentazioni di Gianassi, come altre pesanti contestazioni scagliate non solo dai dem ma anche da Luana Zanella di Avs («la destra blinda i suoi esponenti e alza il muro dell’impunità») non sono robustissime. Ma non è il cuore del problema: il pronunciamento di ieri non ha chiuso la pratica.
Serviva solo ad arrivare al match decisivo, previsto per il 9 ottobre nell’aula della Camera, con una proposta definita. Visto che ieri la proposta di Gianassi è stata respinta, a formularne una nuova, direttamente nell’Emiciclo di Montecitorio, sarà un nuovo relatore, stavolta di centrodestra, vale a dire l’azzurro Pietro Pittalis. Ma come ha spiegato ieri pomeriggio, subito dopo la riunione di Giunta, Devis Dori, anche lui di Avs e presidente dell’organismo, Gianassi potrà svolgere «una relazione di minoranza».
Significa che giovedì della prossima settimana, nella tappa conclusiva della procedura parlamentare su Almasri, l’opposizione potrà scagliare nella scontata diretta tv le proprie accuse all’Esecutivo. E non saranno leggere. Lo si intuisce dalle dichiarazioni che sempre Gianassi ha rilasciato ieri dopo il voto: «La maggioranza vuole giudicarsi da sola, si è messa di traverso a quella che sarebbe stata la decisione più saggia: permettere alla giustizia di fare il suo corso». E poi: «Sul caso Almasri troppe cose non tornano: dalle omissioni via social della presidente Meloni alle menzogne dei ministri, che in Parlamento hanno portato versioni contraddittorie solo per nascondere agli italiani due verità gravissime: la decisione di liberare un criminale internazionale senza consegnarlo alla Corte penale e il fatto che il governo è sotto ricatto di una milizia libica».
Dopodiché Gianassi prende una traiettoria che sembra poco utile ad argomentare la necessità mandare ministri e sottosegretario a processo, ma è perfetta in vista della lapidazione mediatica che si preannuncia per il 9 ottobre: «Si frantuma l’auto- celebrazione di Meloni secondo cui il governo italiano non è ricattabile: è bastato un tagliagole libico per dimostrare il contrario». Valutazioni a metà fra moralismo e censura politica, che però faranno un certo effetto in tv, nella seduta live da Montecitorio.
La strumentalità politico - giudiziaria è d’altronde il segno distintivo dell’intera vicenda: un’operazione – il rimpatrio in Libia, lo scorso 21 febbraio, di Almasri, ricercato dalla Corte dell’Aia – che in realtà è stata condizionata dalla «necessità di non aggravare rischi per persone e interessi nazionali», come ha spiegato già ieri il neorelatore Pittalis.
Il deputato di FI ripeterà gli stessi concetti il 9 ottobre in Aula: «Non è sostenibile dire che si è mentito al Parlamento: il governo ha selezionato il profilo motivazionale divulgabile e, sulle minacce, ha preservato il circuito informativo: l’ordinamento lo consente».
Proprio ieri si è avuta notizia che il nuovo capo della polizia giudiziaria libica, Abdul Dubub, ha rimosso Almasri da tutti gli incarichi, e che l’ex “macellaio” del carcere di Tripoli cercherebbe ora una via di fuga dal proprio Paese. È lo scenario che consente alla responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani di imbastire un’accusa meno strumentale: «Il governo deve dare spiegazioni: gli italiani e gli interessi nazionali in Libia sono ancora tutelati? È una domanda più che lecita, dal momento che Nordio, Piantedosi e Mantovano hanno affermato di aver agito per garantire la sicurezza dei nostri connazionali: a questo punto, cosa sta accadendo davvero?». Serracchiani cita quindi i tentativi di «fuggire dalla Libia» compiuti da Almasri.
Sul piano dell’immagine, le ulteriori forche caudine approntate dall’opposizione non saranno un balsamo, per il governo. Vero è che il tempo aggiusta tutto: la scadenza politica vera, il referendum sulle carriere separate che vede proprio Nordio esposto più di ogni altro, arriverà in primavera. Perciò l’epicentro della tensione, sul caso Almasri e non solo, è destinato a slittare dal ministro della Giustizia alla capo Gabinetto di via Arenula Giusi Bartolozzi: per lei – indagata dalla Procura di Roma per presunte false dichiarazioni relative sempre al caso libico – il centrodestra si prepara a sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, subito dopo il voto sul governo del 9 ottobre. Ma nei confronti di Bartolozzi, il centrosinistra già affila le armi, per i tempi supplementari di una partita sfibrante che sembra non finire mai. O che pare destinata a trascinarsi quanto meno fino al già citato referendum sulla riforma Nordio.