La vittoria nelle Marche porta la firma di Francesco Acquaroli, confermato governatore con un margine netto sullo sfidante di centrosinistra Matteo Ricci. Per Giorgia Meloni è un successo pieno: la premier aveva puntato tutto sulla rielezione del presidente uscente e il risultato le restituisce un bottino politico che consolida la leadership di Fratelli d’Italia anche a livello territoriale. Ma dietro la fotografia della vittoria del centrodestra c’è un altro scatto, forse ancora più significativo: la grave sconfitta del Partito democratico e, con esso, la messa in discussione della strategia di Elly Schlein. Che qualche ora dopo la definizione dei risultati ha diramato una nota improntata al fair play, nella quale ha fatto i complimenti ad Acquaroli e ha tenuto a ribadire che «il nostro impegno unitario con la coalizione progressista al fianco dei nostri candidati continua con grande determinazione» .

I numeri, però, parlano da soli. FdI diventa primo partito della regione con più del 27%, sorpassando il Pd fermo attorno al 22%. Non solo: i dem arretrano rispetto sia alle Politiche sia alle precedenti Regionali, perdendo lo scettro in una terra che storicamente era considerata una roccaforte. Il cosiddetto campo largo arriva al 44%, ben lontano dal circa 53% della coalizione di centrodestra. L’astensione, con un’affluenza crollata al 50%, completa un quadro desolante per l’opposizione.

Il problema per Schlein non è soltanto aritmetico. La campagna elettorale marchigiana ha messo in luce contraddizioni che non sono state risolte: dall’appoggio tardivo e contraddittorio di Giuseppe Conte a Ricci – prima criticato per le inchieste giudiziarie che lo avevano sfiorato, poi sostenuto per disciplina di alleanza – fino alla scelta di calare nella competizione locale temi di politica estera come il conflitto palestinese, del tutto avulsi dalle priorità di un elettorato preoccupato di economia, sanità e territorio. Il risultato è stato un boomerang: i dem hanno perso terreno, il M5s non ha sfondato e l’alleanza si è rivelata fragile e inefficace.

Ora il campanello d’allarme risuona forte al Nazareno. Da settimane si percepiva nervosismo: Schlein aveva cercato di blindare il partito con un appello all’unità, evitando qualsiasi polemica interna e rinviando il dibattito politico. Ma la tregua è messa ora a dura prova dal voto. Adesso i riformisti, che già il 24 ottobre a Milano daranno vita a una convention organizzata attorno a Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Giorgio Gori e Lia Quartapelle, sono pronti a chiedere conto del fallimento. La loro accusa è chiara: l’alleanza a tutti i costi con i Cinque Stelle non funziona, anzi erode il radicamento del Pd. E nelle dichiarazioni post- voto lo stesso Ricci non ha mancato di far presente sia il peso delle vicende giudiziarie sia l'ambiguità dell'alleanza col M5s, seppure aggiungendo che non c'è alternativa a questa. La sensazione è che la linea della segretaria non convinca né la base né l’elettorato moderato.

Nelle Marche, infatti, i voti centristi sono confluiti compatti sul centrodestra, mentre l’area progressista alternativa al Pd – da Avs a liste civiche – non ha raccolto che briciole. Persino il riferimento al ceto medio e alle imprese, inserito da Schlein nel suo discorso alla Direzione alla vigilia del voto, è apparso tardivo e poco incisivo. Il fedelissimo di Schlein Francesco Boccia ha tentato a caldo un’analisi che scagiona la segretaria ma è apparso arramoicarsi sugli specchi. La questione, ora, non è più rinviabile.

Dentro il Pd potrebbe aprirsi una resa dei conti vera e propria, anche se i toni saranno inizialmente felpati. I riformisti non intendono più restare a guardare: accusano la segreteria di aver annullato il confronto interno, di aver ridotto la Direzione a un organo notarile e di aver impostato la linea politica solo in funzione della convivenza con i grillini. Dall’altra parte gli schleiniani più duri difendono la scelta, puntando il dito contro i “salotti” interni che remano contro. Ma il problema non è solo semantico: è che la sconfitta nelle Marche ha tolto credibilità al racconto di una segreteria capace di allargare i confini del centrosinistra.

Sul piano politico, il messaggio degli elettori è netto. Le Marche non hanno voluto sperimentare formule ibride o laboratori nazionali, ma hanno premiato la chiarezza del centrodestra. Acquaroli si è presentato forte di cinque anni di governo, sostenuto da una coalizione compatta, e ha capitalizzato il consenso attorno a Meloni. Il Pd, al contrario, ha mostrato incertezze, divisioni e un candidato logorato da mesi di polemiche. Al Nazareno, dunque, non basta più rivendicare la fine della cassa integrazione dei dipendenti o annunciare che il partito è in salute economica. Ciò che manca è la salute politica. E il voto nelle Marche dimostra che senza un cambio di passo, il rischio per Schlein non è soltanto quello di perdere una regione, ma di consegnare definitivamente a Fratelli d’Italia lo scettro di partito di riferimento anche in quelle zone dove il Pd credeva di essere intoccabile.