Elly o non Elly? Ufficialmente il dilemma non inquieta nessuno. Anzi, solo a parlare di dubbi su quanto la segretaria del Pd sia la miglior risorsa per la premiership all'interno del Pd ti fulminano sdegnati. Neppure la minoranza si azzarda per ora a mettere in forse quella candidatura nel 2027. Ma la discussione invece c’è. Sia nel partito che nel Campo Largo, perché se c'è qualcuno che la candidatura Schlein non la ha mai data per scontata e anzi ha sempre mirato a scalzarla, quello è proprio Giuseppe Conte.

L’ambizione dell’ avvocato non è mai stata un segreto. Ma a svelarla più chiaramente di come non si potrebbe è stato il suo ex portavoce Rocco Casalino, nella sua prima uscita pubblica di direttore di un nascituro quotidiano on line. Schlein, dissertava Casalino di fronte all'ospite Lilli Gruber, «ha spostato troppo a sinistra il partito, che ormai non cresce più. Conte ha ottime possibilità di competere contro Meloni. La partita sarà tra lui e Schlein».

La Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein al convegno sull’autonomia differenziata  — Roma, Italia - Giovedì , 5 Dicembre  2024 (foto Cecilia Fabiano/LaPresse) Democratic Party Secretary Elly Schlein at the conference on differentiated autonomy — Rome , Italy - Thursday December 5 , 2024 (photo Cecilia Fabiano / LaPresse)
La Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein al convegno sull’autonomia differenziata  — Roma, Italia - Giovedì , 5 Dicembre  2024 (foto Cecilia Fabiano/LaPresse) Democratic Party Secretary Elly Schlein at the conference on differentiated autonomy — Rome , Italy - Thursday December 5 , 2024 (photo Cecilia Fabiano / LaPresse)
La Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein

Difficile, anzi impossibile, non sospettare che dietro la nascita del quotidiano, edito dal produttore “patriota” Andrea Iervolino, si sia proprio una manovra per spingere la candidatura Conte. Casalino è pur sempre l’uomo che, negli anni di palazzo Chigi, aveva saputo costruire intorno a un leader venuto dal nulla un consenso popolare impressionante.

Dunque forse non è un caso se, proprio mentre il direttore Rocco si presenta ai nastri di partenza, il leader dei 5S rilascia un’intervista nella quale indica una direzione quasi opposta a quello della competitor del Nazareno: no alla patrimoniale e massima attenzione per la sicurezza.

Sull’immigrazione si sa che l’ex premier è da sempre su una linea molto distante da quella dei compagni di coalizione, Pd e Avs. Certo, Conte assicura che lui «non sarà mai un ostacolo nella scelta del candidato migliore per vincere» ma è una frase sibillina e che non suona affatto come semaforo verde per Elly.

L'assedio è in corso anche all'interno del partito. Franceschini nega fieramente qualsiasi coinvolgimento in manovre contro la segretaria, che ha in realtà sempre appoggiato. È proprio lui però, ed è soprattutto il regista occulto Bettini, a darsi da fare per creare quella gamba centrista di cui difetta il Campo al momento non abbastanza largo, intorno alla figura già lanciatissima di Silvia Salis, che è in politica da poco ma vanta il carisma che manca a tutti gli altri centristi e ha il vantaggio di essere apprezzata anche dall’ala sinistra, quella che in questi mesi ha più riempito le piazze in nome della Palestina.

GIUSEPPE CONTE M5S
GIUSEPPE CONTE M5S
GIUSEPPE CONTE M5S (IMAGOECONOMICA)

Il nome per sostituire la premier potrebbe essere quello del sindaco di Napoli Manfredi, non però prima delle elezioni bensì dopo, se non si trovasse accordo su altri nomi. Non manca chi pensa invece a Bonaccini, presidente del partito, leader della minoranza, anzi ormai di una parte della minoranza: l’opposizione di sua maestà data la vicinanza attuale con la segretaria. Anche nel suo caso, però, il nome spunterebbe dal cilindro solo dopo le elezioni se fossero vinte.

Chi l’ha detto, infatti, che il candidato premier debba essere dichiarato prima del voto? Meloni ha carezzato e forse ancora carezza l'idea di muoversi in quel senso piazzando il nome del concorrente sulla scheda, anche per spianare la strada al suo premierato. Però non è affatto detto che ce la faccia e anzi potrebbe aver già rinunciato al quel sogno proibito. In quel caso anche l’ipotesi delle primarie di coalizione appassirebbe nel giro di un secondo e il centrosinistra si affiderebbe al metodo informale già in vigore: il partito della coalizione che prende più voti indica il capo del governo. Solo che è un metodo informale esposto a molte interpretazioni e non poi così sicuro.

Al momento la segretaria del Pd, consapevole del rischio, è impegnata a blindarsi. Anche in caso di sconfitta al referendum non contempla l’ipotesi azzardata di un congresso. Piuttosto l’Assemblea nazionale, molto meno a rischio, e intanto la blindatura della segreteria facendo leva sui fedelissimi e rinsaldando l’asse con Landini.

In più Elly ha una carta vincente: la composizione del partito è cambiata da quando due anni fa gli iscritti le preferirono Bonaccini. Ci sono tessere non rinnovate e nuove iscrizioni che vengono invece dalla sua base: oggi probabilmente Elly avrebbe dalla sua anche la maggioranza degli iscritti. Ma per quanto solide siano le difese della sua cittadella assediata, i risultati del referendum incideranno comunque a fondo sugli equilibri del partito e della coalizione. Certo, nessuno ha mai neppur vagamente ipotizzato di non schierarsi a favore del no. Ma se quei no perderanno, a essere sconfitta sarà soprattutto la segretaria. Se lui sarà “un ostacolo nella scelta del candidato migliore”.