Giuseppe Conte ha deciso di cambiare pelle al Movimento 5 Stelle. Una virata improvvisa, rapidissima, che sposta il baricentro politico dei pentastellati verso il centro su due terreni tradizionalmente ostici: sicurezza e fisco. Non è un’impressione, né un’aggiustatina comunicativa. È un’operazione politica studiata, che in pochi giorni ha ridisegnato il profilo del M5s. E infatti se ne sono accorti tutti, a cominciare dalla sinistra. Non è casuale che Graziano Delrio, esponente di punta dell’area riformista del Pd, abbia ammonito Elly Schlein: «Non lasciamo al M5s temi che sono sempre stati nostri». Una frustata diretta alla segreteria, accusata di aver disertato il campo proprio mentre Conte iniziava a presidiarlo con disciplina chirurgica.

Sulla sicurezza, il leader pentastellato si muove come non aveva mai fatto. A Canosa parla di «emergenza», accusa il governo di ignorare l’aumento di furti, rapine e violenze e propone perfino di spostare i fondi destinati al progetto Albania per assunzioni immediate nelle forze dell’ordine. Una proposta che, in altri tempi, sarebbe sembrata scritta da un dirigente moderato del Pd o da un amministratore di area centrista. Il tutto accompagnato da un attacco frontale (e forzato) alla riforma Nordio, descritta come un regalo ai colletti bianchi e un disastro per i cittadini comuni. Il video diffuso sui social – tono drammatico, linguaggio diretto – è un manifesto politico: Conte vuole incarnare la figura del politico responsabile, di buon senso, che denuncia, propone, interviene.

La sinistra riformista, naturalmente, non può fingere di non vedere. Il citato Delrio, rivendica che il Pd «parla a tutti» e non intende cedere terreno al Movimento. Ma la preoccupazione trapela: se Conte occupa il centro del campo, Schlein rischia di trovarsi confinata sul lato identitario. È il classico vuoto politico che altri si affrettano a riempire. E nella galassia dem la sensazione è che il M5s stia giocando una partita molto più strutturata di quanto apparisse solo qualche settimana fa.

C’è però un aspetto decisivo che spiega la accelerazione. La linea barricadera, totalmente appiattita sulla sinistra radicale, aveva iniziato a creare scosse interne. La frattura più evidente sono state le dimissioni di Chiara Appendino dalla vicepresidenza del Movimento: non un episodio isolato, ma il segnale che una parte del gruppo dirigente non sopportava più il ripiegamento ideologico. Appendino, figura rispettata e ascoltata, ha rappresentato il malessere di tanti amministratori e parlamentari che vedevano la strategia del “massimo della testimonianza, minimo del consenso” come un vicolo cieco. Conte ha capito che quell’allarme non poteva essere ignorato, perché rischiava di trasformarsi in dissenso organizzato. La svolta verso il centro è arrivata infatti subito dopo, e non a caso la frattura si è rapidamente ricomposta. Si può dire che sia stato il primo vero test di democrazia interna del Movimento post- Grillo. Niente votazioni- lampo, niente scomuniche digitali, niente diktat calati dall’alto: una discussione, una rottura, un ripensamento e poi un nuovo equilibrio. In altri tempi, una questione così sarebbe stata rimossa, o derubricata a “malinteso”. Oggi invece diventa parte dell’identità di un M5s che sta provando, faticosamente, a trasformarsi in partito.

Il cambio di rotta tocca anche il fisco. Conte parla di ceto medio impoverito, mette al centro la lotta alla povertà, denuncia la mancanza di misure strutturali dopo tre anni di governo Meloni. Su questi temi, un tempo presidiati dal Pd, il Movimento si muove con abilità: evita lo scontro ideologico, punta sulle proposte pratiche, evoca competenza istituzionale. Persino la battaglia contro gli “impresentabili”, rilanciata ieri in Puglia, rientra in questo nuovo schema: legalità, etica pubblica, responsabilità. Ma soprattutto il no alla patrimoniale proposta da Schlein.

L’obiettivo è chiaro: intercettare quell’elettorato indeciso, spesso deluso, che non si riconosce né nel Pd né nella destra. Conte punta a diventare la voce credibile del disagio sociale, ma senza sembrare radicale. È un equilibrio complesso, ma potenzialmente molto competitivo.

E il Pd? Per ora osserva, con un misto di fastidio e preoccupazione. Delrio l’ha detto esplicitamente: se la sfida è sui temi centrali, il Pd ci sta. Ma il sottotesto politico è un altro: il Movimento corre, e Schlein rischia di arrivare tardi. Una cosa, però, è certa: Conte ha capito che per crescere deve smettere di parlare solo alla sinistra del Paese. La svolta verso il centro non è un riposizionamento improvvisato, ma la nuova rotta del Movimento. E a giudicare dalla velocità con cui la sinistra si è allarmata, sta già funzionando.