Una maggioranza bulgara, anche perché il candidato era solo lui. Va detto che il sistema di voto del M5S non ha permesso a Giuseppe Conte di raggiungere il 99% di voti a favore che ottiene mediamente Kim Jong Un in Corea del Nord, ma l’ 89,3% di sì alla sua rielezione testimoniano una fede incrollabile di una buona parte degli iscritti al partito. Su 101.783 aventi diritto al voto hanno votato in 59.720, pari al 58,67%. Al quesito: «Sei favorevole all’elezione di Giuseppe Conte quale presidente dell’associazione MoVimento 5 Stelle?», alla chiusura delle “urne” domenica i voti a favore sono stati 53.353, i contrari 6.367.

E così, dopo le vicissitudini delle scorse settimane con gli attacchi diretti da parte della ex vicepresidente del partito Chiara Appendino nei suoi confronti ora l’ex presidente del Consiglio può dare una nuova sterzata al suo corso come leader del secondo partito di opposizione, nell’eterna indecisione circa l’alleanza con il Pd. Ma se nel suo primo mandato qualcuno poteva avere dei dubbi, visto il suo primo governo assieme alla Lega parzialmente redento dal bis al fianco dei dem, da qui in avanti l’obiettivo di Conte è chiaro: un’alleanza stabile con il “fu” «partito di Bibbiano», acerrimo nemico di un tempo ma ora perno insostituibile della coalizione.

La quale, va detto, è stata rivitalizzata dall’arrivo ai vertici del Nazareno di Elly Schlein, la quale a differenza del suo omologo uomo solo al comando è invece a capo di un partito plurale e pluralista, nel quale la dialettica tra le diverse correnti, come dimostrano i movimenti interni alle varie galassie nell’ultimo weekend, non le dà tregua.

Ma Conte non può far altro che continuare in quello che alcuni in passato definirono “abbraccio mortale” con il Pd, lavorando tuttavia ai fianchi Schlein sulle questioni più spinose, cercando di ingraziarsi l’elettorato più a sinistra dello schieramento e ottenendo qua e là il sostegno dem a candidati pentastellati, come avvenuto per l’ex presidente Inps Pasquale Tridico in Calabria (con risultati disastrosi) e come sta avvenendo con l'ex presidente della Camera Roberto Fico in Campania.

Nel frattempo Conte attacca il governo sulla politica estera, torna a battere forte sul tasto di quello che non stenta a definire genocidio a Gaza e critica la presidente del Consiglio Giorgia Meloni circa il posizionamento sull’Ucraina.

«È stata usata la propaganda per nascondere quello che accadeva a Gaza, il genocidio. È stato soffocato con una clava, l’accusa di antisemitismo, dicendo voi parlate così perché siete antisemiti. Questa accusa non è stata fatta ogni tanto in modo sporadico, era organizzata - ha detto ieri Conte a Montecitorio intervenendo durante la presentazione del libro di Rula Jebreal - Parliamo di un genocidio che si è sviluppato sotto i nostri

occhi per due anni, si è diffuso una sorta di maccartismo, soprattutto negli Usa: chi ha criticato la politica di occupazione non ha ricevuto i visti negli Stati Uniti, è stato ingiuriato, licenziato». Stando attento poi a precisare che «di fronte al 7 ottobre con una ventina di parlamentari del M5S siamo andati due giorni dopo in sinagoga, abbiamo portato subito la nostra solidarietà».

Parole pronunciate proprio mentre poche decine di metri più in là, a palazzo Chigi, andava in scena il faccia a faccia tra Meloni e il premier ungherese Viktor Orbán. Un tema su cui «si possono soffermare è quello dei fallimenti rimediati da Meloni, dal blocco navale ai centri nel deserto in Albania, con un miliardo di euro buttato, mentre serve sicurezza sulle nostre strade», ha detto Conte.

Per quanto riguarda la Russia, «Orbán è un filo putiniano, mentre in realtà sul punto non so qual è la posizione di Meloni perché sta lì, sta nel mezzo delle cose, cerca di non scoprirsi su un fianco, cerca di non scoprirsi a Washington, cerca di raccogliere tutte le indicazioni di Trump, ma notoriamente Trump è molto imprevedibile. Di qui la incomprensibilità delle posizioni del nostro governo in materia di politica estera», ha p aggiunto l'ex presidente del Consiglio.

Che poi ha criticato l’esecutivo sulla manovra, spiegando che «nel governo volano stracci perché non hanno il coraggio di imporre una tassazione vera di fronte a 100 miliardi di utili delle banche» e sulle politiche migratorie, ricordando che «siamo a 300mila sbarchi di migranti con il Governo Meloni, ottobre non è ancora finito e ci sono già 1500 sbarchi in più rispetto all’intero mese di un anno fa e le medie sono peggiori dei governi precedenti».

Insomma un Conte a tutto campo che ringalluzzito dal plebiscito del weekend torna a fare la voce grossa, in attesa di tornare alla carica giovedì quando in Senato sarà definitivamente approvata la riforma della giustizia. È infatti proprio su questo tema che si giocheranno i prossimi mesi di confronto politico, e c’è da scommettere che sia il Pd che il M5S torneranno a spalleggiarsi in sostegno dell’Anm e di chi si oppone, loro stessi in primis, alla separazione delle carriere e a tutto ciò che prevede il testo Meloni- Nordio. I contrari all’alleanza stabile con il Pd, del resto, sono stati politicamente messi a tacere.