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ROMANO PRODI POLTICO
È una scomunica a pieno titolo e anche una mozione di sfiducia quasi formale. Contro Elly Schlein, sua ex protetta, Romano Prodi non è andato giù leggero stavolta. L'intervista che ha pubblicato ieri il Corriere della Sera è una bocciatura tonda e su tutto. Il dissenso del professore dalla linea della segretaria outsider del Pd è cresciuto col tempo ed era già esplicito. Stavolta però Prodi è andato oltre. Quella di ieri non è più un'intervista critica ma apertamente di rottura.
All’ex padre dell'Ulivo, della linea attuale del Pd, non piace proprio niente. Non condivide l'entusiasmo per Mamdani il newyorchese, la cui cifra comunque «non mi pare quella del rivoluzionario» e il cui programma è considerato dal Professore molto difficilmente realizzabile.
Molto più importante, se proprio bisogna guardare agli States, è la vittoria delle due governatrici democratiche in New Jersey e Virginia: due democratiche. La patrimoniale verrebbe «interpretata come l'inizio di un’oppressione fiscale». Il radicalismo «spaventa gli elettori e nella nostra storia non ha mai pagato». Se anche il centrosinistra di Elly vincesse le elezioni, ipotesi che in tutta evidenza Prodi considera puramente scolastica, ci sarebbe da augurarsi che «non gli prenda la bertinottite». Parole, per inciso, che all'ex leader di Rifondazione comunista non potevano piacere e che infatti rintuzza con una punta di acrimonia, parlando della crisi del primo governo Prodi dovuta alla sfiducia del Prc: «Lui se l'è legata al dito, io no. Tra noi non c'è gran calore. Ma la sua sinistra è portatrice di una linea fallita».
I morsi più velenosi e anche più minacciosi che il Professore riserva alla segretaria sono in realtà altri. Il Professore racconta di aver parlato più volte con Schlein al telefono negli ultimi tempi e di averle spiegato «che a me non interessano i partiti ma le coalizioni di governo». Dietro la facciata colloquiale si cela una sferzata feroce. Il problema di Elly, del quale sono consapevoli tutti lei stessa inclusa, è di aver sì risollevato il partito dalla fossa in cui era precipitato nel 2022 ma a scapito di ogni possibilità di vincere le elezioni. Perché appunto il partito c'è ma la coalizione, l'Ulivo si potrebbe dire, invece no.
La seconda frecciata mira al cuore. C'è un leader credibile dell’opposizione? «I leader possono crescere. O farsi». È il pollice verso e figurarsi se Prodi non sa perfettamente che i dubbi sulla candidatura di Elly alle politiche sono universalmente diffusi. Lui ha ancora in mente il candidato che si era inventato mesi fa, Ernesto Maria Ruffini. Molti altri, anche tra quell'ala del Pd che condivide in toto le critiche del professore, pensano invece alla più politicamente attrattiva Silvia Salis.
Un gruppo di sostenitori della segretaria progetta di tirare fuori dal cappello, dopo e non prima del voto, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Conte, dall’esterno del Pd, punta su se stesso e quasi neppure lo nasconde più. Amici e nemici condividono in fondo tutti l'analisi di Rocco Casalino: la segretaria del Pd, spostando troppo il partito a sinistra, ha già fatto il pieno dei consensi e oltre non può andare. Dunque con lei il rischio di perdere è elevato.
La segretaria però non ha alcuna intenzione di offrire il petto alle molte baionette che la hanno presa di mira.
Ieri a Bologna ha incontrato gli amministratori del Pd, anche loro portatori di una critica ma precisa e circoscritta: il partito si spende troppo poco sulla sicurezza. Obiettivo rassicurarli e promettere opportuni irrigidimenti. Conta di vincere facilmente e a man bassa le elezioni in Campania e Puglia la settimana prossima e, anche se facilmente prevedibile, quell'esito la rafforzerà.
Subito dopo, sull'onda del successo, convocherà la direzione del partito che dovrà per forza confermare lei, la sua linea, il suo pacchetto di mischia nel quale figurano in veste di luogotenenti figure opposte a quelle che sarebbero per Prodi più opportune: esponenti della sinistra come Igor Taruffi e Marta Bonafoni, approdati alla guida del Pd dall'esterno, come la stessa Elly. Ma di qui alle elezioni politiche del 2027 ci sono due incognite che potrebbero cambiare tutte le carte in tavola. La prima è il referendum. Perderlo sarebbe comunque un colpo duro per la tenuta della segretaria, ma perderlo male sarebbe forse esiziale. Poi c'è la carta coperta della riforma elettorale. Giorgia sembrerebbe decisa a cambiarla eliminando la quota uninominale, i collegi. Ma non è affatto detto che riesca a imporre l'indicazione del leader della coalizione sulla scheda elettorale. Con la leader del partito maggiore traballante come papabile per Palazzo Chigi e senza vincoli, è del tutto possibile che il Campo Largo arrivi alle urne senza una candidatura già definita per la premiership. Contro un centrodestra comunque molto più coeso e con una leader indiscussa sarebbe più o meno un suicidio politico.


