Che i risultati di elezioni svoltesi dall’altra parte dell'oceano possano incidere su una realtà molto diversa come quella italiana è tutto da verificare. Pochi anni fa la risposta sarebbe stata data da chiunque senza pensarci sopra due volte e si sarebbe trattato di un inappellabile no. Sugli equilibri politici italiani e sull'immagine delle forze politiche pesavano più elezioni amministrative in una piccola città italiana che non gli esiti di qualsiasi votazione negli Stati Uniti.

È possibile, ma non certo, che le cose siano cambiate. Da qualche anno la politica internazionale tiene banco anche da noi, persino nelle discussioni private. Le scelte del presidente degli Usa hanno una ricaduta immediata sulle tasche degli italiani. Gli stessi leader forzano l'identificazione tra il governo italiano e il presidente americano, per esaltarla o per vituperarla. Stavolta, insomma, un peso sulle cose di casa nostra del voto del New Jersey, della Virginia e soprattutto di New York City probabilmente c'è, quanto meno in termini di immagine.

Chiedersi chi ha vinto e chi ha perso in Italia, dunque, è pur sempre un gioco ma meno futile che in numerose altre occasioni. Chi ha perso peraltro è indiscutibile: hanno perso Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che da 10 mesi si sforzano di figurare come i più trumpisti del bigoncio. Ha perso l'intera destra, perché se c’è una figura che sembra incarnare quella cultura 'wokista' che è la bestia nera delle destre sia americana che italiana è proprio Zohran Mamdani, il nuovo sindaco di New York. Il silenzio perfetto della premier e del leader azzurro Tajani da un lato, il livore incontenibile di Salvini dall’altro, confermano che la sberla è arrivata e duole.

A sinistra il discorso è più complesso. Nel Pd tutti festeggiano, brindano, si felicitano. Ma di Pd ce ne sono due: quello che vuole radicalizzare la linea politica seguendo Elly e quello che considera la decisione di non guardare più all’elettorato potenziale centrista suicida.

Anche il Pd a stelle e strisce è diviso in due: tanto che il trionfatore newyorchese non ha mai esitato a segnalare la sua battaglia su due fronti: contro Trump ma anche contro il vecchio e paludato establishment del suo partito. A quella vecchia e plurisconfitta guardia, moderata e centrista, Mamdani ha opposto la stessa virata a sinistra che Elly vuole imprimere al suo Pd. La sua vittoria è una carta vincente regalata alla segretaria messa sotto accusa per la sua sterzata radicale anche da un mammasantissima come Romano Prodi.

La minoranza però non accredita questa lettura univoca. Il successo a New York è fragoroso e smagliante ma si tratterebbe di una roccaforte assediata se non ci fossero anche quelli del New Jersey e della Virginia, dove hanno messo Ko gli avversari candidate molto più moderate una delle quali addirittura ex agente della Cia.

Ce n’è abbastanza perché Pina Picierno freni a tavoletta segnalando che dagli Usa arrivano segnali diversi ma convergenti nell’indicare che sconfiggere Trump, e dunque la destra ovunque, è possibile. Il braccio di ferro nel Pd e aree limitrofe proseguirà ma i segnali dall’America rafforzano comunque la posizione di Elly più che dei suoi avversari “riformisti”.

Avs non ha di questi patemi: è l’ala sinistra della coalizione, incassa soddisfatta. Il M5S però è molto meno netto. Vuole essere l'ala radicale del Campo Largo e sin qui Mamdani è ottimo. Non di sinistra però, o almeno in modo non troppo esplicito e ostentato e qui un sindaco che si dichiara ' socialista' ottimo non è affatto. Soprattutto, se quel vento dovesse spirare anche in Italia andrebbe a tutto vantaggio di Pd e Avs, non del Movimento. Il salone delle feste di Conte e del suo M5S è rimasto chiuso, buio e soprattutto silenzioso quasi quanto quello di Giorgia Meloni.

Ma se il gioco dei vincitori e vinti in Italia non è del tutto destituito di senso, in compenso può fare parecchio danno a sinistra, distogliendo lo sguardo da dove bisognerebbe invece che fosse appuntato. Mamdani ha vinto con una campagna elettorale nella quale l'aspetto concreto pesava più di quello ideologico, pur non inesistente.

Gli elettori hanno premiato le tre proposte-promesse, molto precise e molto calibrate a misura dei problemi dei newyorchesi, sulle quali il candidato ha martellato quasi ossessivamente: calmiere sugli affitti, trasporti e asili nido gratuiti. È il contrario esatto di quel che fa la sinistra italiana che da un lato si appiglia all'antifascismo ideologico, a proposito e più spesso a sproposito, dall'altro volteggia da un argomento all'altro senza mai mettere a fuoco una campagna precisa su obiettivi circoscritti e facilmente comprensibili. Più che cantare vittoria sarebbe utile studiare il modello.