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PRODI E SCHLEIN
Le sempre più pungenti critiche che Romano Prodi rivolge a Elly Schlein, ai confini dell'ostilità politica, sono del tutto comprensibili. A giustificarle sono due diverse considerazioni, affini e intrecciate ma non identiche.
Il Pd non è mai stato il partito “ulivista” che sognavano il Professore e il suo allora braccio destro Arturo Parisi. Però l'ispirazione era quella e del resto il suo artefice e primo segretario, Walter Veltroni, era stato il vicepremier del primo governo Prodi ed era senza dubbio il più “prodiano” tra i dirigenti di prima fila del Pds e poi dei Ds. Elly ha sterzato più vigorosamente e più drasticamente di quanto ci si aspettasse al momento della sua elezione a sorpresa abbandonando quella strada e rinunciando a quell'orizzonte.
In un certo senso l'operazione di Elly Schlein è uguale e contraria a quella tentata a suo tempo da Matteo Renzi. L'attuale leader di Iv aveva provato a spostare il partito decisamente verso destra, o verso il “riformismo” come da più pudica e ma identica definizione, rottamando l'intero gruppo dirigente che lo aveva preceduto. Elly cerca di collocare il Pd all’estremo opposto, dotandolo di una marcata identità radicale.
Né l'uno né l'altro lato estremo coincidono con l'idea del Pd di Romano Prodi e forse quella di Schlein è ancora più distante perché sacrifica ogni ambizione di amalgama tra le forze della sinistra e del cattolicesimo che guardava a sinistra, o se si preferisce dell’area moderata orientata in quel senso, per fare del Pd un partito non distante nei toni, negli obiettivi e nell'ispirazione di fondo dal M5S riveduto e corretto da Giuseppe Conte o dall’Avs di Fratoianni.
È il caso di notare che né la forzatura di Renzi dieci anni fa né quella di Schlein oggi arrivano per caso. Il Pd, dalla sua nascita nel 2007, non è mai riuscito a dotarsi di vere identità e fisionomia politiche. La sconfitta che incoronò Renzi, un outsider all'interno del Pd, e quella che ha portato alla segreteria Elly, un’outsider esterna al partito, sono state vissute tanto drammaticamente proprio perché evidenziavano il limite storico e permanente del Pd: l'assenza di una vera e riconoscibile identità politica.
Sia il ragazzo di Rignano che quella di Bologna hanno provato a ovviare a quel limite puntando su una delle componenti culturali e politiche di quel caleidoscopio che è sempre stato il Partito democratico. Ma il Pd “massimalista” di Elly è la negazione complessiva e totale dell' “ulivismo” di Prodi e si può capire quanto poco la svolta piaccia al padre dellì'Ulivo stesso.
Il secondo attrito riguarda le alleanze. L'ispirazione “ostinatamente unitaria” sbandierata da Elly Schlein era senza dubbio condivisa, in linea di principio, dal Prodi che ai tempi del suo secondo governo, quello dell'Unione, aveva messo insieme Mastella, Di Pietro e Bertinotti. Nel concreto però si è risolta in un appiattimento completo sulle posizioni del M5S e di Avs che rende quasi impossibile raccogliere i consensi della fascia più moderata dell'elettorato di centrosinistra.
Il problema del Campo Largo è che i tre partiti che lo compongono pescano tutti nelle stesse acque e si rubano letteralmente voti a vicenda. Ma questo non è ancora il limite principale della gestione Elly: il guaio più grosso è che nonostante la superiorità in termini di consensi, il Pd è del tutto incapace di esercitare una leadership di fatto sulla coalizione.
Il prezzo dell'unità testardamente perseguita è al contrario una egemonia politica e culturale del partito di Conte che peraltro provoca scosse di terremoto anche nel Movimento. Se l'offerta è quasi identica, infatti, una parte non insignificante dell'elettorato finisce per scegliere il partito che appare comunque più solido e radicato.
Le critiche di Prodi sono naturalmente condivise o quanto meno preoccupano buona parte del Pd e non solo la minoranza riformista. Il dilemma però è evidente: Elly è stata portata alla segreteria da un partito che temeva l'irreversibile declino e da quel punto di vista ha fermato l'emorragia.
Scalzarla è impossibile, come lo era con Renzi, senza una sonora sconfitta elettorale che però neppure i più critici possono augurarsi perché con Elly perderebbero anche loro. Dunque Elly Schlein giocherà la sua partita fino in fondo e solo se sarà dolorosamente sconfitta alle elezioni politiche nel Pd si riapriranno i giochi e in quel caso si riapriranno davvero ripartendo da zero. Con un solo possibile imprevisto: un esito troppo deludente del referendum costituzionale sulla giustizia nella prossima primavera potrebbe dar fuoco alle polveri con un anno di anticipo sulle elezioni politiche.


