Inizia saltellando sul palco al ritmo del coro “Giorgia, Giorgia” e chiude, dopo un’ora esatta di intervento, con il cellulare in mano per un selfie insieme a militanti e volontari. Davanti alla famiglia - la figlia Ginevra, la sorella Arianna e la madre Anna Paratore - e agli alleati di governo Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi, con il partito schierato nelle prime file, Giorgia Meloni chiude Atreju trasformando la passerella finale in un comizio identitario e combattivo.

L’affondo contro la sinistra e Schlein

Dal palco della tensostruttura di Castel Sant’Angelo, la presidente del Consiglio rivendica il lavoro del governo ma soprattutto punta il mirino sul centrosinistra e sulla segretaria Pd Elly Schlein, che ha declinato l’invito alla kermesse. Atreju, sottolinea Meloni, è «il luogo dove tutte le idee hanno diritto di cittadinanza», dove «le identità si sfidano rispettandosi» e «il valore delle persone si misura sui contenuti». Chi non viene, affonda, «dimostra di non avere quei contenuti».

La premier ringrazia «tutti quelli che non hanno avuto paura di confrontarsi» e cita uno dopo l’altro i leader dell’opposizione presenti: Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Riccardo Magi e Luigi Marattin. Poi la stoccata: Schlein, con il suo «nannimorettiano “mi si nota di più se non vengo”», avrebbe comunque fatto parlare di Atreju. «Il presunto campo largo – ironizza – lo abbiamo riunito noi. L’unica che non si è presentata è quella che dovrebbe federarli».

Il confronto mancato e la sfida al centrosinistra

Il bersaglio resta il Pd e l’alleanza progressista. Meloni racconta di aver invitato Schlein e Conte a un confronto «due contro uno», ricevendo un no non per paura di lei, ma perché «non volevano confrontarsi tra di loro». Da qui la domanda retorica: «E questi vorrebbero governare insieme la nazione?».

La premier insiste sul leitmotiv: ogni volta che la sinistra attacca, il risultato è opposto. «Parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo e il governo sale nei sondaggi». E sulle Regionali affonda: «Dovevano farci un 5-1, è finita 3-3. Ritentate, sarete più fortunati».

Ironie, identità e sicurezza

In piena “trance agonistica”, Meloni ironizza anche sulle polemiche per il riconoscimento Unesco alla cucina italiana: «Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro». Poi l’attacco a Francesca Albanese, definita «nuova eroina del Pd», e l’affondo sulla sicurezza: «Bisogna affrontare con forza il fenomeno dei maranza. L’Italia non è più la Repubblica delle banane che piaceva tanto alla sinistra».

Ucraina, premierato e giustizia

Nel passaggio di politica estera, la presidente del Consiglio ribadisce il sostegno all’Ucraina contro «il neoimperialismo di stampo sovietico della Russia», marcando la distanza da ogni ambiguità. Conferma poi la volontà di andare avanti con il premierato, che «metterà fine ai giochi di palazzo», e invita a votare sì al referendum sulla separazione delle carriere, citando il caso di Garlasco come simbolo di una giustizia «che va profondamente riformata».

Infine, difende i centri per migranti in Albania: «Funzioneranno». Le contestazioni sul presunto danno erariale, sostiene, non riguardano il governo ma «decisioni giudiziarie che hanno ritardato tutto di un anno e mezzo».