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Le parole non sono mai neutre, soprattutto quando arrivano da Cologno Monzese. E quelle pronunciate da Pier Silvio Berlusconi sul futuro di Forza Italia hanno avuto l’effetto di una frattura silenziosa ma profonda: la leadership del partito, fino a ieri formalmente appannaggio di Antonio Tajani, diventa improvvisamente contendibile. Non c’è una sfiducia esplicita, non c’è un atto formale. Ma il messaggio è passato: la fase della gestione post- Silvio è finita, ora si potrebbe aprire la stagione del dopo- Tajani.
Il riferimento a “volti nuovi”, accompagnato dalla gratitudine rituale per il lavoro svolto, suona come un via libera ufficioso alla competizione per la successione.
Un cambio di passo che non nasce nel vuoto ma fotografa un disagio sedimentato da tempo: Forza Italia resta centrale negli equilibri di governo, ma fatica a trovare una proiezione autonoma, schiacciata tra la leadership di Giorgia Meloni e l’ingombrante eredità berlusconiana. Un partito che tiene numeri e posizionamento, ma che appare privo di una spinta propulsiva capace di parlare al futuro.
In questo scenario, i retroscena indicano con sempre maggiore insistenza un nome in pole position: Roberto Occhiuto. Il governatore della Calabria arriva a questo passaggio forte di un doppio risultato. Da un lato, il successo personale alle Regionali e la capacità di trasformare Forza Italia in un partito competitivo nel Mezzogiorno; dall’altro, un profilo politico che intercetta alcune sensibilità decisive per la famiglia Berlusconi. Non è un caso che a Cologno si guardi con attenzione a chi tiene insieme pragmatismo amministrativo, toni moderati e una postura liberale sui diritti civili, tema tornato centrale nel lessico dell’azionariato politico di Mediaset.
C’è poi il dossier più delicato: l’autonomia differenziata. Dopo la firma dei primi accordi sulle materie non Lep, il tema è diventato esplosivo soprattutto nel Sud, dove una parte crescente dell’elettorato percepisce il processo come un rischio strutturale. Occhiuto, più di tutti nel centrodestra, ha dato voce a questa inquietudine, incarnando una linea di cautela che lo rende riconoscibile e spendibile oltre i confini regionali. Una postura che lo distingue senza collocarlo fuori dal perimetro della maggioranza, ma che anzi rafforza il suo profilo nazionale. Il 17, a Palazzo Grazioli (location a dir poco evocativa), ci sarà la presentazione della nuova corrente. Per ora, però, nessun altro si muove allo scoperto. E non per mancanza di ambizioni. Uscire ora significherebbe esporsi, bruciarsi o peggio inimicarsi Tajani, che resta segretario in carica e presidia ancora leve decisive del partito, a partire dalla macchina organizzativa e dai gruppi parlamentari. La prudenza è quindi la regola, mentre il confronto resta sotto traccia, fatto di segnali, sussurri e messaggi indiretti.
Ed è qui che entra in gioco l’altro tema chiave: la resistenza del gruppo dirigente romano, i cosiddetti “cesaroni”. Una componente che la famiglia Berlusconi guarda con crescente insofferenza, ma che continua a rappresentare l’ossatura del partito. Tajani, Barelli, Gasparri, passando anche per il patron laziale Claudio Lotito, incarnano una linea di continuità che non intende farsi archiviare senza reagire. Non solo per difesa personale, ma per una diversa idea di Forza Italia: meno movimentista, più istituzionale, radicata nei palazzi e nelle relazioni costruite in anni di governo.
È lecito pensare che proprio questo fronte stia lavorando per guadagnare tempo e provare a ricompattare il partito attorno alla figura del segretario, trasformando l’uscita di Pier Silvio in una spinta al rinnovamento controllato, non in una resa dei conti. Una strategia di resistenza che passa anche dal richiamo alla stabilità e al ruolo di Forza Italia come perno moderato della maggioranza.
In questo quadro, anche il rapporto con Palazzo Chigi diventa un fattore. Giorgia Meloni osserva, consapevole che una Forza Italia attraversata da tensioni interne può essere al tempo stesso un alleato più fragile e più dipendente. Un equilibrio sottile, che rende la transizione azzurra non solo una questione di leadership, ma un passaggio con ricadute dirette sulla tenuta complessiva della maggioranza. È per questo che ogni mossa viene pesata, ogni parola calibrata, in attesa che il confronto esca dall’ambiguità e si trasformi, finalmente, in una scelta politica esplicita. Una scelta che, inevitabilmente, costringerà tutti a schierarsi, mettendo fine alla lunga fase dell’equilibrismo e chiarendo se Forza Italia intenda restare ancorata al suo passato recente o aprire una nuova stagione senza reti di protezione o comfort zone del passato.


