La data non è stata scelta a caso, visto che domani c’è anche la chiusura di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia con l’intervento della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il luogo nemmeno, visto che l’auditorium Antonianum è teatro per le grandi occasioni, destinato a ospitare le centinaia di partecipanti all’Assemblea nazionale del Pd, chiamata alla resa dei conti tra la maggioranza legata alla segretaria Elly Schlein e la minoranza riformista.

O meglio tra i riformisti stessi, dal momento che l’Assemblea di domani certificherà l’entrata in maggioranza della corrente Energia popolare di Stefano Bonaccini, ex avversario di Schlein alle primarie in cui fu clamorosamente sconfitto. Da allora, da presidente del partito Bonaccini si è via via spostato su posizioni meno vicine a quelle dei riformisti, fino ad abbandonarne la guida per avvicinarsi alla sua ex vice ai tempi della presidenza dell’Emilia- Romagna.

Un avvicinamento che si tradurrà domani nell’entrata in maggioranza, portando con sè pezzi da novanta come l’attuale presidente dell’Emilia- Romagna Michele De Pascale, il neo eletto presidente della Puglia, Antonio Decaro, il segretario regionale campano Piero De Luca, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e gli eurodeputati Matteo Ricci e Brando Benifei, capodelegazione a Bruxelles. Ma anche parlamentari del calibro di Alessandro Alfieri, già in segretaria con delega alle Riforme, Andrea Gnassi, Andrea Rossi e Simona Bonafè.

Cioè figure che fino a poche settimane fa andavano a braccetto con i riformisti “duri e puri”, che rimangono saldamente schierati contro l’attuale maggioranza e che si sono battuti fino all’ultimo, al momento con successo, per impedire che l’Assemblea di domani servisse a blindare Schlein come candidata del campo largo alla presidenza del Consiglio. Parliamo di figure altrettanto di spicco, dal presidente del Copasir Lorenzo Guerini alla vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, da Giorgio Gori a Graziano Delrio, fino a Filippo Sensi, Lia Quartapelle, Sandra Zampa, Marianna Madia e Simona Malpezzi.

L’idea della corrente Montepulciano, che riunisce a sua volta le tre correnti che fanno riferimento a Dario Franceschini, Roberto Speranza e Andrea Orlando, era quello di una modifica allo Statuto alla quale però i riformisti si sono opposti sin da subito, e così i dirigenti dem hanno relegato l’ipotesi in soffitta, a meno di clamorosi colpi di scena.

È per questo che la resa dei conti potrebbe in realtà trasformarsi in un voto all’unanimità sulla relazione della segretaria, nel caso in cui questa tocchi alcuni punti centrali dell’agenda riformista. In primis le questioni Esteri e Difesa legate all’Ucraina e al riarmo europeo, in un clima di crescente sfiducia tra i principali rappresentanti europei e gli Stati Uniti di Donald Trump.

Nel mezzo, il governo italiano di Giorgia Meloni, che Schlein attaccherà frontalmente non solo per quella che al Nazareno viene definita come «posizione ambigua» ma anche per le questioni più strettamente interne, dalla manovra economica alla giustizia, dalle critiche alla ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini per la risposta alla contestazione subita ad Atreju ai problemi ormai cronici della sanità pubblica. Sarà su questi temi che Schlein cercherà l’appoggio dell’intero partito, minoranza compresa, in vista dell’arrivo della legge di Bilancio in Aula la prossima settimana prima dell’inizio della campagna referendaria sulla giustizia.

Tema sul quale Schlein non vuole spendersi troppo in prima persona, così da non dover subire pressioni in caso di sconfitta, con il rischio tuttavia di lasciare campo libero al leader M5S Giuseppe Conte in caso di vittoria.

Ma da qui al referendum sulla separazione delle carriere c’è ancora tempo, prima la segretaria deve occuparsi di tenere unito un partito sfilacciato se non diviso, cercando magari di entrare di più in contatto con i cittadini. Un sondaggio di Youtrend ha mostrato infatti come in caso di confronto a tre ad Atreju fra Meloni, Schlein e Conte, saltato per volontà della segretaria dem, soltanto il 13% la riterrebbe la più convincente dei tre, contro il 48% in favore di Meloni e il 24% in favore di Conte.