Mi sono fatto un’opinione sul tema della separazione delle carriere dei magistrati, principale oggetto della riforma della giustizia recentemente approvata dal Parlamento e oggetto di consultazione referendaria nella prossima primavera. Desidero condividerla con i lettori de Il Dubbio e lo faccio in modo schematico, sperando che questo non nuoccia alla comprensione degli argomenti che sinteticamente provo ad esporre.

Considero, da garantista, prioritario l’obiettivo di dare piena realizzazione all’articolo 111 della Costituzione, e so bene che il tema della separazione delle carriere ha storicamente rappresentato un “cavallo di battaglia” del mondo liberale. Io stesso, fino a qualche anno fa, ho dato il mio parere favorevole a una riforma in tal senso e ho anche firmato per il referendum.

Tuttavia: 1. Credo che la riforma Cartabia abbia nel frattempo già fatto il grosso del lavoro, limitando ad uno i possibili passaggi da una funzione all’altra, purché all’inizio della carriera e prescrivendo il trasferimento in altra regione;

2. i passaggi sono già oggi rarissimi: negli ultimi cinque anni – quindi anche prima della legge Cartabia – solo lo 0,83% dei pm ha chiesto il passaggio a giudice e lo 0,33% da giudice a pm;

3. mi chiedo se davvero la “non separazione” – ciò che ne residua dopo la riforma Cartabia – rappresenti oggi un effettivo ostacolo al perseguimento dell’obiettivo costituzionale. Se cioè la condivisione del percorso formativo e del CSM, oltre a quell’unico passaggio di funzione che la norma oggi consente, ponga davvero pubblici ministeri e giudici in una condizione di promiscuità tale da alterare le condizioni di parità tra accusa e difesa di fronte al giudice, a danno dell’imputato; se la risposta fosse “sì”, mi chiedo se la totale separazione delle carriere prevista dalla riforma sarebbe allora sufficiente al ripristino dell’auspicato equilibrio tra le parti, o se il contrasto della “pericolosa contiguità” tra i due ruoli non dovrebbe estendersi alla separazione delle sedi di lavoro, degli esercizi pubblici frequentati dagli uni e dagli altri, ecc.

4. in realtà, l’abnorme differenza tra le richieste delle procure e le decisioni dei giudici (64% di archiviazioni, 60% di assoluzioni per i casi che arrivano a processo) parrebbe segnalare una significativa indipendenza della funzione giudicante, già oggi;

5. considero un fatto positivo – da non cancellare – che pm e giudici condividano la stessa cultura giuridica, e che i pm non si formino in una prospettiva esclusivamente accusatoria;

6. l’obiettivo che a mio parere andrebbe perseguito è piuttosto quello di una maggiore responsabilizzazione dei pm, a tutela della presunzione di innocenza e dell’auspicata parità tra accusa e difesa; la riforma non mi pare andare in questa direzione, anzi: vedo il rischio che la postura esclusivamente accusatoria delle procure possa essere rafforzata dalla “corporativizzazione” del ruolo, sottratto ad ogni controllo e sempre più saldato a quello della polizia giudiziaria.

Penso quindi che potrebbero essere altre, e non questa, le battaglie per limitare le carcerazioni preventive, per evitare i processi mediatici, ed avere cioè una giustizia più aderente ad un altro articolo della Costituzione, il 48; quindi una giustizia più giusta, oltre che più efficiente.