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ILARIA SALIS POLITICO
Celle sovraffollate, detenuti ammanettati ai termosifoni, cimici nei letti e cibo per meno di tre euro al giorno. È questo il sistema penitenziario che la Cassazione ha ritenuto inaccettabile, bloccando l’estradizione di un imputato verso l’Ungheria. La Suprema Corte lo ha stabilito nella sentenza 33397/2025, accogliendo il ricorso di un cittadino pakistano, condannato per aiuto all’immigrazione clandestina e falso.
A raccontarlo Il Sole 24 Ore. La sentenza, ora, potrebbe tornare utile ad Ilaria Salis, che da tempo chiede al ministro della Giustizia Carlo Nordio di poter essere processata in Italia, dopo aver subito 15 mesi di carcerazione in Ungheria in condizioni degradanti con l’accusa di aver picchiato un neonazista. Richiesta che mette in difficoltà Nordio, circondato da una maggioranza “garantista” sulla carta, ma pronta a mandare Salis in carcere ritenendola - senza processo - già colpevole. Il Guardasigilli, però, potrebbe ora appellarsi a questa decisione, che impone ai giudici italiani di valutare la situazione concreta del singolo imputato.
Nel caso analizzato dalla Cassazione, l’imputato aveva già trascorso sette mesi in custodia cautelare, denunciando di essere stato sottoposto a torture. Successivamente, riuscito a fuggire in Grecia, ha raggiunto l’Italia, dove si è presentato spontaneamente in Questura a Bologna per chiedere asilo. Qui è stato arrestato in base al mandato di arresto europeo. La Corte d’appello aveva accolto la richiesta dell’Ungheria, dando via libera all’estradizione. La Cassazione ha però annullato con rinvio la decisione dei giudici di appello, che si erano basati sulle poche indicazioni fornite dalle autorità ungheresi, limitate al carcere in cui la pena sarebbe stata espiata. Una pena non chiara: mentre, secondo il condannato, si sarebbe trattato di due anni, il Mae indicava un tetto di 12 anni.
Per la Cassazione, la Corte d’Appello aveva deciso nonostante le gravi carenze del sistema penitenziario ungherese, evidenziate non solo dall’imputato, ma anche da un report del 2024 della Hungarian Helsinki Committe. Nel report viene evidenziata la persistente violazione dei diritti umani nelle carceri ungheresi, nonostante una condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo risalente ormai a nove anni fa. Si parte dall’uso eccessivo di contenzioni fisiche, con l’utilizzo frequente di catene per le braccia e le gambe quando gli imputati sono portati in tribunale, come testimoniato anche dal caso Salis. Questa pratica, che non è sempre giustificata o proporzionata al caso, viola gli standard giuridici europei e nazionali, oltre a ledere la presunzione di innocenza.
Ma non solo: le carceri ungheresi sono sovraffollate, con un tasso di occupazione media del 106 per cento. Una situzione che crea condizioni di vita disumane per circa 40.000 detenuti ogni anno. Nonostante gli appelli europei per ridurre la detenzione e aumentare l’uso di pene alternative, il sistema di giustizia penale continua a dipendere fortemente dalle pene detentive. Le carceri soffrono di infestazioni da cimici, temperature estreme, alimentazione insufficiente (con un budget di 2,8 euro al giorno per detenuto) e mancanza di acqua calda per l’igiene. Inoltre, molte celle sono prive di luce naturale e ventilazione adeguata.
Le attività di reinserimento sono scarse, e le persone con disabilità non ricevono il supporto necessario. I detenuti, inoltre, non hanno adeguato accesso a risorse per chiedere risarcimenti per le condizioni di detenzione inadeguate e spesso non possono nemmeno chiedere un risarcimento. Inoltre, il divieto di contatto fisico tra detenuti e visitatori viola il diritto alla vita familiare, come stabilito dalla Cedu. I dati mostrano, infine, un aumento del numero e della durata della custodia cautelare. Un quadro in linea con le violazioni rilevate dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo con la sentenza pilota Varga e altri contro l’Ungheria.
«La Corte territoriale, pur dando atto nella sua richiesta di informazioni delle condizioni psicologiche del ricorrente conseguite alla precedente carcerazione patita presso le carceri ungheresi - si legge nella sentenza - si è limitata a reputare sufficienti le informazioni fornite dalla Autorità penitenziaria ungherese, benché queste riguardino esclusivamente il trattamento detentivo applicato nell’istituto penitenziario di Szombathely». Insomma, i giudici che hanno dato l’ok al Mae non avevano elementi per escludere il rischio di trattamenti disumani o degradanti. Un monito di cui Nordio ora non potrà non tenere conto.