Se esiste un personaggio venerato (e rimpianto) da tutto l’arco della sinistra francese senza se e senza ma, quello è fuori di dubbio Robert Badinter. L’ex ministro della giustizia di François Mitterrand, appena canonizzato nel Pantheon di Parigi, è un monumento della gauche morale, un simbolo di rettitudine e coraggio politico, sempre fedele ai suoi principi anche quando sono entrati violentemente in rotta di collisione con il senso comune e l’opinione pubblica.

Avvocato penalista e garantista indefesso, inizialmente osteggiato per le cause scomode che difendeva, ha conquistato nel tempo una reputazione di umanista indipendente e appassionato, fino a diventare una vera e propria autorità etica. Si è spento il 9 febbraio 2024, a 95 anni.

Il suo nome è passato alla Storia per l’abolizione della pena di morte nel 1981, pochi mesi dopo la sua nomina a Place Vendôme; grande lettore di Victor Hugo amava citare i pensieri del titanico scrittore sull’omicidio di Stato: «Fino a quando la pena capitale sarà in vigore, non potrà esistere una vera civiltà». Dopo aver mandato in pensione il boia e messa al museo la ghigliottina, il Front National di Jean Marie Le Pen e diversi sindacati di polizia si mettono sul piede di guerra, scendono in piazza e manifestano davanti al ministero intonando slogan lugubri contro «il lassismo giudiziario», chiedono le dimissioni del «ministro dei delinquenti».

Qualche giorno prima nelle strade di Parigi tre agenti erano stati uccisi a colpi di pistola da un commando terrorista di Action directe e i poliziotti, pistole alla mano, chiedono pubblicamente che la pena di morte venga ripristinata immediatamente. Badinter li riceve, discute con loro, comprende il dolore e la frustrazione ma fa capire che indietro non di torna, che la vendetta di Stato non farà mai più parte del sistema penale francese.

Sempre durante il primo mandato Mitterrand Badinter mette nella pattumiera della Storia un altro obbrobrio del sistema penale transalpino: il reato di omosessualità, una fattispecie istituita dal maresciallo Pétain nel 1942 (il crimine di sodomia era stato abolito nel 1789 dai rivoluzionari) con il famigerato secondo comma dell’articolo 331 e rimasta in piedi per quasi mezzo secolo. Il ministro dispone che le menzioni nei casellari giudiziari vengano cancellate e le schede di polizia con gli elenchi degli omosessuali distrutte, mentre dà il via libera ai risarcimenti retroattivi per tutte le persone condannate.

Un’altra battaglia “impopolare” per cui si è speso anima e corpo riguarda le condizioni dei detenuti francesi, ancora oggi denunciate dall’Unione europea, ma che all’inizio degli anni ottanta erano letteralmente disumane. Sono migliorate le condizioni di vita, l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione, e riconosciuto ai detenuti il diritto al lavoro retribuito. Viene limitato l’uso dell’isolamento, e incoraggiato sistema delle pene alternative al carcere, come la libertà condizionale e i lavori di pubblica utilità. Sono anche abolite le pene a vita senza possibilità di riduzione ed è introdotto il principio, poi centrale nel diritto penitenziario francese, secondo cui la privazione della libertà non comporta la perdita dei diritti fondamentali.

Nato a Parigi nel 1928 da una famiglia ebraica originaria della Bessarabia — l’odierna Moldavia —, aveva trovato rifugio nel sud della Francia con i genitori e il fratello, cercando di sfuggire alla persecuzione nazista. Dopo l’occupazione tedesca della zona libera, nel novembre 1942, la minaccia diventa incombente: a Lione, il comandante delle SS Klaus Barbie assume la direzione della Gestapo e lancia la caccia ai resistenti e agli ebrei. Il 9 febbraio 1943, il padre Simon Badinter entra nella sede dell’UGIF, l’Unione generale degli israeliti di Francia, istituita dal regime collaborazionista di Vichy. È una trappola. Un gruppo di uomini in borghese irrompe nell’edificio: ottantasei persone vengono arrestate. Robert che aveva appena 14 anni riesce miracolosamente a sfuggire alla retata. Non avrebbe mai più rivisto suo padre, deportato a Drancy e poi assassinato nel campo di sterminio di Sobibor. La famiglia, braccata, trova rifugio a Cognin, in Savoia, sotto falso nome, i Berthet.

Alla fine della guerra rientra a Parigi e aspetta invano, all’hotel Lutetia, il ritorno dei deportati: oltre al padre Simon non rivedrà né lo zio Naftoul né la nonna Shindléa. Appena ventenne anni si tuffa nello studio del diritto diventando in pochi anni uno degli avvocati più celebri di Francia, specialista prima del diritto d’autore e poi penalista a tutto tondo.

Le battaglie contro il populismo penale e il processo mediatico sono per Robert Badinter una specie di uniforme civile e in ogni sede contesta e dibatte per riaffermare i principi della presunzione di innocenza e il reinserimento sociale dei detenuti. Dai tribunali, in cui doveva «combattere contro le folle urlanti che volevano mozzare le teste degli imputati», ai palazzi della politica, alle aule universitarie dove ha continuato a difendere i principi dello Stato di diritto fino all’ultimo giorno di vita.