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Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio in occasione discussione del disegno di legge costituzionale su norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare (riforma Magistratura). Senato a Roma Mercoledì 29 Ottobre 2025. (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Minister of the Justice Carlo Nordio on the occasione of the debate on the constitutional bill on provisions regarding the judicial system and the establishment of a disciplinary court (reform of the judiciary), the Senate will be in Rome on Wednesday October 29 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
L’omicidio di Lida Taffi Pamio, avvenuto il 20 dicembre del 2012 nella sua abitazione di Mestre, e per il quale sono state condannate due donne (Susanna Lazzarini e Monica Busetto) ma paradossalmente non in concorso tra di loro arriva all’attenzione del Parlamento. Sono state infatti presentate quattro interrogazioni parlamentari: una del senatore Pd Andrea Martella, una della deputata del M5S Stefania Ascari, una del senatore pentastellato Roberto Cataldi, una del deputato di Avs Devis Dori. Tutte chiedono di far luce su una vicenda giudiziaria che ha dell’incredibile, e di rivalutare soprattutto la posizione di una delle due condannate, Monica Busetto, in carcere da 12 anni ma sempre professatasi innocente. Nordio ha risposto proprio all’atto di sindacato ispettivo promosso da Dori. Ma riassumiamo la vicenda.
Tutto inizia con la morte dell’anziana Taffi Pamio. La scena del delitto si presenta povera di indizi e prove dirimenti agli occhi degli inquirenti fino a quando iniziano a puntare l’attenzione contro la vicina, Monica Busetto. L’operatrice sanitaria viene interrogata e intercettata più volte fino ad essere arrestata con l’accusa di omicidio, che sarebbe stato causato da dissapori di pianerottolo. A casa della donna viene sequestrata una catenina spezzata che, secondo gli investigatori, potrebbe essere stata strappata alla vittima. Andrà a rappresentare la smoking gun sulla quale si poggerà tutto l’impianto accusatorio in quanto su di essa sarebbe stata trovata un’infinitesima quantità di Dna della vittima, appena tre picogrammi. Ma la prova regina, hanno evidenziato, tra gli altri, il giornalista Massimiliano Cortivo e il docente di statistica per l'investigazione criminologica Lorenzo Brusattin nel libro inchiesta Lo Stato italiano contro Monica Busetto, si dimostrerà molto dubbia, sotto vari punti di vista.
Come evidenziato anche da recentissimi servizi della trasmissione di Italia1 “Le Iene” durante i quali è emerso che una nuova perizia potrebbe dimostrare che quel gioiello non è lo stesso che indossava la vittima e potrebbe essere alla base di una nuova richiesta di revisione. L’impianto probatorio sarebbe appunto la predetta collanina. Oltre a questo anche l’entrata in scena di Susanna Lazzarini.
Dopo la condanna in primo grado della Busetto, la donna viene arrestata e confessa sia l'omicidio di un’altra anziana, Francesca Vianello, che quello di Taffi Pamio. Dopo un lungo interrogatorio fornirà particolari dettagliati di entrambi i delitti, sostenendo più volte di aver agito da sola. Circostanza confermata anche quando parla con i familiari e viene intercettata. Una traccia di sangue, inizialmente ignorata dagli investigatori, la inchioda al delitto Taffi Pamio. Busetto lascerà dunque il carcere per poi dovervi ritornare dopo che la Lazzarini con argomentazioni illogiche e irrazionali la chiamerà di nuovo in causa per l’omicidio Pamio.
Infatti, come ricordano Cortivo e Brusattin, «Susanna, “Milly” Lazzarini decide di cambiare “improvvisamente” la sua versione mesi dopo aver confessato ad un familiare di aver fatto tutto da sola e dopo ben tre lunghi interrogatori avvenuti a distanza di molte settimane l’uno dall’altro. Davanti ai magistrati sino a quel momento aveva sempre sostenuto di aver compiuto il delitto da sola. Solo nel quarto e poi quinto interrogatorio spunta la figura di Monica Busetto nella versione della Lazzarini».
Quello che sconvolge è che leggendo i verbali si vede chiaramente tutto lo sforzo degli inquirenti per far combaciare l’ipotesi iniziale – il coinvolgimento di Monica Busetto – con tutte le risultanze successive, emerse dalle testimonianze più volte modificate di Lazzarini. Ma veniamo a ieri e all’interrogazione parlamentare in cui Dori ha ricordato che la mancata coincidenza tra i due monili minerebbe la solidità del principale elemento probatorio alla base della condanna, insieme al fatto che in sede di richiesta di revisione della condanna, la Corte d’appello di Trento nel marzo 2024 avrebbe rigettato l'istanza «sulla base dell'assunto, errato, che la Lazzarini nel suo primo interrogatorio, e quindi quello ritenuto più attendibile per vicinanza all'evento, avrebbe dichiarato la complicità della Busetto».
Su questo aspetto il 3 marzo 2016 anche Nordio, all’epoca proprio procuratore aggiunto a Venezia, rispose al giornalista Pittarello di 7gold: «questa confessione nulla toglie all'impianto probatorio che aveva indotto la corte d'assise ad applicare alla signora Busetto una pena molto grave». Dori e Zanella hanno chiesto al Guardasigilli «se sia a conoscenza di quanto esposto, quali accertamenti di competenza intenda porre in essere con riferimento al caso esposto e quali iniziative di natura normativa intenda mettere in campo per scongiurare ingiuste detenzioni che ledono il principio di non colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio».
Nordio non ha detto nulla di nuovo: «io non posso entrare nell'ambito di un'indagine condotta da me 15 anni fa, anche perché non so se dovrei rispondere come ex pubblico ministero o come Ministro della Giustizia. Posso soltanto dire che la legge prevede degli strumenti, come quello della revisione, che possono correggere a distanza quelli che sono gli errori giudiziari». Deluso Dori: «io l’ho interrogata qui in Aula come Ministro, non come pubblico ministero» e nonostante i diversi elementi a discolpa della Busetto «abbiamo sentito il Ministro anzitutto non dare alcuna risposta, però nemmeno attivarsi come Ministro e non come pubblico ministero…».


