Nel processo che vede Chiara Ferragni imputata di truffa aggravata, la Procura di Milano descrive il caso Ferragni come un ingranaggio complesso in cui l’influencer avrebbe avuto un ruolo determinante nelle operazioni commerciali al centro dell’inchiesta. L’accusa parla di una “truffa diffusa”, basata sulla forza persuasiva del rapporto tra influencer e pubblico. Ed è da questa dinamica che, secondo i pm, nasce l’aggravante della minorata difesa dei consumatori.

L’impianto della Procura: campagne, mail interne e decisioni finali

Prima di chiedere una condanna a un anno e otto mesi, il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Cristian Barilli hanno ripercorso gli accordi tra le società coinvolte nelle campagne “Pandoro Balocco Pink Christmas” (Natale 2022) e “Uova Chiara Ferragni – Sosteniamo i Bambini delle Fate” (Pasqua 2021 e 2022).

Secondo la Procura, le comunicazioni interne mostrerebbero come le decisioni finali fossero rimesse alla 38enne e al suo ex manager Fabio Maria Damato, per il quale è stata avanzata la stessa richiesta di pena. Più prudente, secondo i magistrati, la posizione di Francesco Cannillo, presidente di Cerealitalia, per cui è stata chiesta una condanna a un anno con attenuanti bilanciate dall’aggravante.

Consumatori ingannati: le segnalazioni e la narrazione benefica

In aula sono state richiamate le numerose mail inviate dai consumatori che chiedevano chiarimenti sulla quota destinata alla beneficenza. Le risposte ricevute sarebbero state, secondo i pm, “non pertinenti”, fino al momento in cui il caso Ferragni è esploso mediaticamente.

La Procura sostiene che l’imprenditrice abbia ottenuto un ingiusto profitto di circa 2,2 milioni di euro, oltre a un vantaggio d’immagine non quantificabile, mentre gli acquirenti sarebbero stati indotti a credere che l’aumento di prezzo dei prodotti servisse a sostenere le campagne solidali.

Il nodo dell’operazione Balocco: percezione pubblica e realtà dei fatti

Il cuore del dossier riguarda il “Pandoro Pink Christmas”. Gli acquirenti, pagando 9,37 euro invece dei 3,68 del prodotto base, ritenevano secondo la Procura di contribuire a una raccolta fondi per l’ospedale Regina Margherita di Torino. In realtà, l’accordo commerciale prevedeva che le società Ferragni incassassero oltre un milione di euro per l’attività promozionale su Instagram, mentre Balocco aveva già destinato 50mila euro all’ospedale, una cifra fissa e non legata alle vendite.

Per i magistrati milanesi, la dinamica tra influencer e follower gioca un ruolo chiave. Chi acquista tende a fidarsi e a non mettere in discussione la comunicazione proposta. Da qui l’aggravante della minorata difesa: l’acquirente è “diffuso e polverizzato”, privo di strumenti per verificare a fondo le condizioni dell’operazione commerciale. Un punto ribadito anche dall’associazione Casa del Consumatore, unica parte civile ammessa.

Il secondo fronte: le Uova di Pasqua e il “ritorno del medesimo schema”

Lo stesso impianto accusatorio viene esteso alla campagna delle Uova di Pasqua 2021 e 2022. Anche in questo caso, secondo la Procura, la narrazione benefica avrebbe creato un fraintendimento nel pubblico, mentre la struttura contrattuale degli accordi avrebbe assicurato all’influencer vantaggi economici diretti e indiretti. La sentenza sul caso Ferragni è attesa per gennaio 2026