Le attività svolte da amministratore pubblico possono essere utilizzate ai fini della valutazione di professionalità e quindi per ottenere un aumento di stipendio? Ne è convinto Michele Emiliano, pm antimafia prestato alla politica, che ha presentato al Consiglio giudiziario del distretto un lungo elenco di quanto realizzato in questi venti anni, prima come sindaco di Bari e poi come presidente della Regione Puglia.

L’ormai ex governatore pugliese, a meno di colpi di scena dell’ultimo momento, nei prossimi giorni dovrà indossare nuovamente la toga che aveva appeso al chiodo nel lontano 2003, anno in cui divenne primo cittadino della città di San Nicola. All’epoca Emiliano aveva conseguito la quarta valutazione di professionalità. Da allora però sono passati vent’anni e tutti quelli del suo concorso hanno fatto carriera, conseguendo la valutazione massima, la settima, con conseguente raddoppio di stipendio. Valutazioni che, come prevede la norma, sono effettuate a cadenza quadriennale.

Il “problema” è che i colleghi di Emiliano in questi anni hanno fatto i magistrati e quindi hanno svolto attività “giurisdizionale”, scrivendo nella loro autorelazione, se erano giudici, il numero ed tipo di sentenze depositate, se erano invece pm, le volte che avevano esercitato l’azione penale e l’esito dei procedimenti, ovviamente con la condanna (nessun pm mette l’elenco dei suoi flop o meglio delle assoluzioni, ndr). Nulla di ciò è ovviamente possibile per Emiliano che nella sua originale “autorelazione”, per essere promosso direttamente alla settima valutazione di professionalità ed ora al vaglio del Consiglio giudiziario, ha invece elencato cosa fatto da politico in questi anni.

L’elenco è lungo. Ci sono le infrastrutture che hanno segnato il cambiamento nelle politiche di mobilità e traffico a Bari, con una fitta rete di piste ciclabili, oppure l’attivazione della ferrovia Bari-San Paolo, o anche il passante ferroviario che collega l’aeroporto alla stazione centrale ed alla rete ferroviaria nazionale. Ma non solo. C’è anche la modifica del piano regolatore, con l’abbattimento dell’ecomostro di Punta Perotti. Tutto opere indubbiamente meritevoli e sicuramente molto apprezzate dai cittadini pugliesi che gli hanno confermato sempre la fiducia, ma di cui non si comprende l’attinenza con l’attività giudiziaria, oggetto appunto della valutazione di professionalità.

L’ultima parola spetterà comunque al Consiglio superiore della magistratura. «Emiliano è sempre stato un precursore dei tempi», afferma Antonio Leone, ex componente del Csm. «Si capisce bene perché in questi giorni molti suoi colleghi si cimentano, a proposito della riforma della giustizia, in dichiarazioni “parapolitiche”: il futuro per alcuni magistrati dovrebbe essere infatti una commistione fra attività politica e attività giurisdizione, da inserire nei curricula per il Csm proprio per la valutazione di avanzamento», aggiunge Leone.

Emiliano subì anche un disciplinare per essersi iscritto al Pd, in contrasto con la norma che vieta ai magistrati l’appartenenza ad un partito politico. L’iscrizione di Emiliano al Pd risaliva al 2007, quando il magistrato era stato eletto segretario regionale dei Democratici in Puglia. Dal 2009 al 2014 Emiliano era diventato presidente del Pd pugliese per poi essere nuovamente eletto segretario regionale. Solamente ad ottobre del 2014 il procuratore generale della Cassazione aveva però deciso di aprire il disciplinare nei suoi confronti. Durante il dibattimento venne sollevato anche un conflitto di legittimità davanti la Corte costituzionale.

La questione di legittimità costituzionale fu ritenuta infondata con la sentenza 170 del 4 luglio 2018 che aveva confermato il divieto di iscrizione ad un partito sia per i magistrati in servizio che per quelli come Emiliano fuori ruolo per un incarico politico. Appresa la decisione della Consulta, Emiliano aveva dichiarato di non più voler più rinnovare la tessera del Pd una volta scaduta. Una decisione «dolorosa ma inevitabile», affermò, precisando che comunque avrebbe continuato «a supportare in ogni modo» il partito. Con il mancato rinnovo dell’iscrizione al Pd, Emiliano era stato immediatamente escluso dall’Assemblea e dalla Direzione nazionale dem. Nel 2017 Emiliano aveva anche sfidato Matteo Renzi, candidandosi senza successo alla Segreteria nazionale del Pd. L’esito delle primarie non era stato dei più felici: solo 197.000 voti su 1.838.000. Tutta acqua passata.