Nessuna prova è emersa, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’assistente sociale Annalisa Scalabrini abbia consapevolmente riportato informazioni oggettivamente false. «Al contrario, l’istruttoria dibattimentale ha fatto emergere molteplici elementi che depotenziano l’accusa e rafforzano la verosimiglianza della versione dei fatti riportata nei documenti ufficiali». A sottolinearlo oggi in aula l’avvocato Cinzia Bernini, difensore di Scalabrini insieme ad Elisabetta Strumia nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza.

Nessuna decisione anticipata, né tantomeno falsità, ha spiegato Bernini: nessuna prova, durante il dibattimento, avrebbe infatti dimostrato un intento doloso da parte di Scalabrini nella vicenda dell’allontanamento di A. B., la bambina che aveva raccontato alla maestra di «sentire la mancanza del sesso» con il compagno della madre.

Al contrario, l’intero carteggio – composto da messaggi interni, mail e testimonianze – restituisce il quadro di un Servizio prudente, cauto, in costante dialogo interno e in attesa del giudice. Secondo il pubblico ministero Valentina Salvi - che ha chiesto una condanna a 6 anni e 4 mesi per Scalabrini -, il Servizio sociale avrebbe falsamente rappresentato un episodio per giustificare un allontanamento repentino già pianificato da settimane.

Una sorta di “copione” confezionato per indurre il giudice a una decisione che, nella visione dell’accusa, era già stata presa in altra sede. Una sorta di “escamotage narrativo” con l’obiettivo di legittimare un atto traumatico per la bambina, ovvero il prelievo da scuola all’insaputa dei nonni.

I fatti, però, dicono altro, ha sottolineato Bernini. Gli assistenti sociali, la psicoterapeuta e la dirigente del servizio non avrebbero mai agito in autonomia né adottato decisioni arbitrarie. Al contrario, avrebbero rispettato pienamente i tempi e i limiti fissati dal decreto del Tribunale dei minorenni del 13 marzo, che disponeva l’avvio di un percorso con una famiglia affidataria.

Il provvedimento – depositato il 15 marzo – parlava chiaro: il servizio avrebbe dovuto affrontare da subito l'appoggio di una famiglia affidataria con previsione di inserimento a titolo interamente residenziale con la collaborazione dei nonni e valutazione attenta per evitare ulteriori pregiudizi.

Per giorni, tra il 15 marzo e il 9 aprile, i servizi hanno monitorato la situazione, raccolto segnali di disagio, cercato un confronto con la famiglia. Ma la collaborazione — sostengono — è venuta meno: le reazioni dei nonni hanno dimostrato non solo che non condividevano le prescrizioni ricevute, ma anche che si opponevano apertamente al decreto. Un atteggiamento esplicitamente ammesso in aula dagli stessi.

La decisione di allontanare A. in modo non graduale fu assunta dal giudice onorario all’udienza del 9 aprile 2018, a seguito di un confronto professionale tra il servizio sociale, la dirigente responsabile del caso e la psicoterapeuta della minore.

Numerose testimonianze riportavano episodi di crisi emotiva, tensione e comportamenti definiti “non protettivi” da parte dei nonni, fino all’arrivo di una segnalazione della maestra di sostegno, che descriveva la bambina come «stravolta» e sottolineando che «piangeva spesso», raccontando anche di tensioni con la nonna.

Ma che i Servizi avessero agito con i piedi di piombo è dimostrato da diverse circostante: il 26 marzo, ad esempio, la dirigente del servizio, Federica Anghinolfi, scrisse un messaggio chiarissimo al gruppo di lavoro, sottolineando la necessità di «rendere edotto il giudice» sulle segnalazioni della scuola. Una frase che, nella sua semplicità, rivela l’approccio prudente del servizio: prima di ogni scelta operativa definitiva bisognava consultare l’autorità giudiziaria.

E nonostante le sollecitazioni interne circa l’urgenza della situazione, Anghinolfi rimase sulla linea della cautela. Insomma, «non ci fu nessuna costruzione a tavolino, nessun colpevole silenzio». La decisione fu presa in udienza, all’esito di valutazioni professionali concrete su comportamenti ritenuti non protettivi da parte dei nonni, ha chiarito Bernini.

Ma non è tutto. Ci sono altri elementi ancora più evidenti, che dimostrano con chiarezza come nessuna decisione definitiva fosse stata ancora assunta dal Servizio sociale e che emergono dalle interlocuzioni tra Anghinolfi e Imelda Bonaretti, psicologa di A..

Il 6 aprile 2018, ovvero il venerdì precedente all’udienza del lunedì 9 aprile, Anghinolfi si poneva interrogativi tutt’altro che marginali. «A me interessa che A. possa essere aiutata a stare meglio - diceva a Bonaretti, che condivideva -. Cosa è meglio per lei? Forse un progetto chiaro di sostegno in loco? Mi preoccupa il suo allontanamento. Per quanto debole, la nonna è ambivalente, come tanti. Mi pare le voglia bene in modo genuino».

Un messaggio che rivela in modo trasparente lo stato d’animo del Servizio: c’erano attenzione, dubbio, preoccupazione. «Come si può sostenere che la decisione di allontanare A. fosse già stata assunta, se a tre giorni dall’udienza la dirigente stessa esprime ancora riserve e propone alternative come un progetto di sostegno in loco?», si è chiesta Bernini.

La decisione, dunque, arrivò al termine di un confronto approfondito del Tribunale con tutte le figure coinvolte. Tribunale che, nel decreto finale del 23 aprile 2018, ha poi confermato la bontà di quell’allontanamento, dopo aver ascoltato e letto tutte le memorie difensive e tutte le istanze versate in atti: «Il servizio ha agito nel pieno rispetto del decreto emesso, che autorizzava al collocamento protetto della minore in ogni momento. I nonni hanno posto in essere atteggiamenti che destano particolare preoccupazione per quanto riguarda l’assoluta assenza di collaborazione col servizio rispetto all’intervento da attuare a sostegno della minore. E dai quali si conferma la loro volontà di riavere la bambina tout court, più che aiutarla realmente». Al punto che per stessa ammissione ammissione della nonna in aula, «saremmo andati al diavolo a rendere l’anima per riavere A.».

Scalabrini, inoltre, non avrebbe mai omesso di riferire l’intenso e profondo legame tra A. e la nonna nella sua relazione, anzi: fu proprio l’assistente sociale, - in più punti delle sue relazioni – a dare esplicito conto di quel legame, descritto come unico e centrale nella vita della bambina, riportando con precisione le parole della bambina, che dopo l’allontanamento e il trasferimento nella nuova collocazione manifestava sentimenti di mancanza e nostalgia, soprattutto nelle ore serali. Una dichiarazione – riportata testualmente – che dà conto dell’intensità di quel legame affettivo. Pertanto, sostenere che ci sia stata un’omissione è «insostenibile», alla luce del contenuto stesso della relazione, che non solo non nasconde, ma anzi esplicita e valorizza il vissuto emotivo della bambina.