«Tutte le sere prego perché lei (la Madonna di Medjugorje, ndr) la protegga e l’aiuti per superare il suo grandissimo dolore che solo un mostro di uomo le ha procurato e certa che la segnerà per tutta la sua vita, ma prego pure che abbia la sicurezza che il papà, la mamma e i nonni le sono vicini con il cuore». Queste parole sono tratte da una lettera scritta il 13 maggio 2018 da Giovanna, nonna della piccola A., la bambina la cui vicenda è considerata il “caso zero” di Angeli & Demoni, l’inchiesta sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Parole con le quali la donna, di fatto, confermava di essere a conoscenza dei presunti abusi subiti dalla bambina da parte del compagno della madre della piccola (la cui posizione è stata archiviata) e che avrebbero segnato a vita la bambina. La lettera - depositata lunedì nel processo in corso a Reggio Emilia, che vede imputate 17 persone - era indirizzata a Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, alla quale la donna esponeva in modo accorato il suo dolore per l’allontanamento della bambina. Allontanamento che i servizi avrebbero potuto mettere in atto sin dal 2012, ma che venne eseguito soltanto nel 2018, su disposizione del Tribunale dei Minori, quando la bambina riferì a psicologa, madre e maestre dei presunti abusi subiti da parte del compagno della mamma.
A produrre la lettera in aula è stato Oliviero Mazza, difensore, insieme a Rossella Ognibene, di Anghinolfi. Di fronte alle sue stesse parole, la nonna ha tentato di ricondurre il «danno irreparabile» da lei evocato alla separazione dai nonni e all’affido, spiegazione che però non ha convinto Mazza, «perché il riferimento al mostro non è riconducibile a quell’evento», ha spiegato il legale al Dubbio. La donna ha provato ad escludere la possibilità che l’ex compagno della madre di A. e la bambina siano mai rimasti soli, sostenendo che era stata la stessa madre a rassicurarla sul punto. Parole che, però, contraddicono le stesse dichiarazioni della nonna e quelle della madre della piccola, secondo le quali la bambina e l’ex compagno rimanevano da soli quanto meno nei momenti in cui la donna andava a fare la spesa. In quell’occasione, l’uomo rimaneva a casa con la bambina o la portava al parco. E ogni volta che passava davanti quei luoghi, nel periodo in cui svolgeva la psicoterapia, la bambina manifestava segni di disagio, al punto da spingere la psicologa Imelda Bonaretti a cambiare sede per evitarle turbamenti.
La bambina - nata dalla relazione tra un 17enne che si scoprì avere problemi psichici e una ragazza di soli 14 anni - viveva con i nonni, che dal 2012 venivano seguiti dai servizi, nei cui confronti avevano obblighi di comunicazione immediata e trasparente. Secondo il Tribunale dei Minori, i genitori avevano «comportamenti francamente abbandonici quando non disturbanti» e quanto al padre «problematiche personali molto gravi». Dopo le confidenze della bambina alla maestra, i giudici sottolineavano «forti segnali di malessere» dovuti al presunto abuso. E sempre secondo i giudici, «sono stati confermati nella minore gli importanti segnali di disagio ed esposizione a situazioni violente anche di marca sessuale», arrivando anche a riferire «a più persone» che «le mancava il sesso» e «le carezze» dell’ex compagno della madre, nonostante fosse una bambina di soli 10 anni. La bambina aveva inoltre comportamenti di estrema sofferenza, che si manifestavano da mesi, con scoppi improvvisi di pianto durante le lezioni, dei quali le maestre avevano informato la nonna oltre che i servizi sociali e la psicologa. Nel 2017, la piccola ha iniziato a manifestare problemi di enuresi diurna (faceva la pipì di giorno e se ne accorgeva solo dopo averla fatta) e ha rivelato alla psicologa e poi alle insegnanti dei presunti abusi subiti da parte del compagno della madre. Da quel momento, la situazione della bambina - già problematica e con una certificazione ex lege 104 - è peggiorata. Nel corso del dibattimento è emerso che fin dalla tenera età la bambina assisteva in alcune occasioni alle forti liti tra i due genitori e, successivamente, tra il padre e il nonno, al punto da manifestare disagio per i forti rumori e la confusione anche a scuola. La bambina ha assistito a forti litigi verbali tra i familiari - come ammesso dagli stessi nonni -, ma di tali eventi i servizi non furono informati.
Il caso è quello del presunto disegno modificato dalla psicologa, divenuto immagine simbolo dell’inchiesta. L’immagine, così come pubblicata dalla stampa, raffigurava un adulto e una bambina, in piedi, fianco a fianco, con le braccia dell’uomo che si allungano sulla piccola. Un disegno diverso dall’originale, secondo la procura di Reggio Emilia e la perizia della grafologa Roberta Tadiello, che ha certificato l’aggiunta postuma di una mano in corrispondenza del bordo del letto, all’altezza dell’area genitale della bambina. Ma ciò che è emerso in fase di udienza preliminare è che chi ha consegnato ai media l’immagine ha fornito una versione diversa dall’originale. L’immagine, infatti, è stata prima orientata in senso verticale e poi “schiacciata”, con il risultato di alterarne le proporzioni. Le braccia e le mani, dunque, risultano ad occhio nudo più lunghe e grandi. Il disegno originale risulta invece in posizione orizzontale (come si evince dalla stessa perizia) e presenta un altro particolare, eliminato dalla versione consegnata alla stampa: l’immagine completa, infatti, ritrae la bambina sdraiata su un letto e, sopra di lei, l’adulto. Un contesto, dunque, assolutamente ambiguo e diverso da quello reso noto al pubblico, che però ha alimentato il “film” parallelo all’inchiesta, suscitando la rabbia e l’indignazione dell’opinione pubblica.