«The neverending story» era la famosa colonna sonora, cantata da Limahl, musicista britannico di origini francese, resa nota al mondo intero dall’omonimo film di fantascienza del 1984. Ma adesso potremmo dire che rappresenta anche a pieno il racconto parlamentare sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere. Eh già, perché ieri per l’ennesima volta abbiamo assistito nell’Aula del Senato al solito scontro tra maggioranza e opposizione sulle tempistiche che ci avvicinano all’approvazione del provvedimento in seconda lettura. Infatti la capigruppo che si è tenuta dalle 13 e per un paio di ore ha stabilito «il contingentamento dei tempi per un totale di trenta ore, escluse le dichiarazioni di voto» così come comunicato dal presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa, in apertura di seduta, scatenando le reazioni dei partiti di minoranza. Non si sa ancora bene quando il testo passerà definitivamente in Senato: si ipotizza o il 16 o il 23 luglio.

Oggi, intanto, ci sarà nuovamente una riunione della conferenza dei capigruppo per definire il calendario fino alla pausa estiva e proseguirà l’esame degli emendamenti alla riforma, sempre applicando lo strumento del ‘canguro’. Di «aberrazione» rispetto alla decisione presa ha parlato il presidente dei senatori del Movimento cinque stelle, Stefano Patuanelli e ha aggiunto: «magari fossero 30 ore, saranno 12 o 13, quelle che hanno a disposizione le opposizioni» a maggior ragione che per il pentastellato si tratta di una riforma arrivata già blindata prima in commissione Affari Costituzionali e poi in Aula.

«Il contingentamento è assurdo, irragionevole e controproducente per una riforma costituzionale. Noi avremmo voluto discutere nel merito e anche cercare di individuare soluzioni come quelle che noi abbiamo proposto per accorciare davvero i tempi della giustizia. Tutto ciò non è stato possibile», ha detto sempre in Aula, intervenendo sull’ordine dei lavori Andrea Giorgis, capogruppo dem nella prima commissione. «Umiliazione del Parlamento» è stata invece l’espressione utilizzata da Francesco Boccia, capogruppo del Partito democratico in Senato. Peppe De Cristofaro, di Alleanza verdi e sinistra, sostenendo di condividere la posizione del Pd e M5s, ha descritto quanto avvenuto come «una ennesima forzatura» nei confronti «di una riforma istituzionale che impatta pure su un altro potere dello Stato», ossia la magistratura.

Critica anche Italia Viva che con la senatrice Silvia Fregolent che ha parlato di «ennesimo schiaffo». Invece il capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha rispedito al mittente le accuse: «Nessuna compressione dei tempi, anzi c’è una dilatazione».

La maggioranza in capigruppo aveva infatti proposto una soluzione sul timing più stringente: «prendiamo atto delle 30 ore», fissare il voto «per giovedì non era un termine oppressivo, ma prendo atto della decisione» assunta, ha concluso il forzista. Il solito ping pong tra maggioranza e opposizione è come al solito stato spezzato dal fatto che anche ieri questa volte per due volte è mancato il numero legale a causa dell’assenza di molti senatori dei partiti ‘ azionisti’ di Governo e quindi la seduta è stata sospesa alle 17 e alle 19 per poi riprendere dopo circa una mezz'oretta.

Per questo non è stato possibile da parte dell’emiciclo concludere l’esame di tutti gli emendamenti all’articolo 3 del ddl Nordio, quello che prevede l’istituzione di due Csm, uno per i giudici e uno pubblici ministeri, e il sorteggio per i membri togati e laici dei possibili futuri governi autonomi delle magistrature. Comunque qualche ora o giorni in più concessi alla discussione non dovrebbero cambiare la tabella di marcia della riforma. La modifica dell’ordinamento giudiziario dopo l’approvazione in Senato che quindi avverrà sicuramente entro questo mese, sbarcherà poi nuovamente alla Camera tra settembre e ottobre per l’inizio della seconda fase di deliberazione.

L’auspicio di Governo e maggioranza è che abbia poi il placet definitivo di nuovo a Palazzo Madama prima della legge di Bilancio, in modo che, come ribadito anche dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio due sere fa alla trasmissione di Rete4 Quarta Repubblica, si giunga al referendum all’inizio del 2026. «Sulla riforma andiamo avanti, sicuramente la faremo», ha assicurato il Guardasigilli, ospite di Nicola Porro.