Fu il Tribunale per i minori a chiedere di allontanare la piccola A. dai suoi nonni in loro assenza, mentre si trovava a scuola, dato che non avevano manifestato intenzione di collaborare con il Servizio sociale per dare una attuazione graduale al provvedimento del Tribunale. Anzi, proprio il nonno e il padre della bambina avevano dichiarato alla psichiatra che seguiva il papà di A. - sentita in aula mercoledì 13 marzo - che il loro intento era quello di opporsi in ogni modo a quell’allontanamento. Questo è quanto emerso nel corso dell'ultima udienza del processo sui presunti affidi illeciti, tra i quali quello della piccola A., il cosiddetto “caso pilota”, data in affido a seguito dei presunti abusi subiti da parte dell’allora compagno della madre. A spiegare la situazione psicologica del padre di A., in aula, è stata la psichiatra Alessandra Grosso, del Centro salute mentale di Reggio Emilia, che aveva in carico il giovane. Il ragazzo, affetto da disturbo borderline, era arrivato alla psichiatra dopo un tso per agitazione e aggressività nei confronti dei familiari, in particolare del padre. Un ragazzo che, stando alla cartella clinica prodotta con indagini difensive dagli avvocati di Federica Anghinolfi - Rossella Ognibene e Oliviero Mazza -, responsabile dei Servizi sociali della Val d’Enza, non godeva di una propria autonomia ed era discontinuo nell’assunzione della terapia, grazie alla quale avrebbe potuto alleviare i sintomi di un disturbo comunque non curabile definitivamente. Secondo l’accusa, gli assistenti sociali avevano omesso di indicare i miglioramenti del ragazzo a seguito del percorso clinico presso un centro diurno, percorso, però, mai comunicato ai Servizi. Ma al netto di ciò, nella primavera del 2018, quindi all’epoca della relazione accusata di falso, erano stati i genitori del giovane a chiedere al servizio di psichiatria della documentazione da presentare all’Inps per richiedere l’aggravamento dell’invalidità civile. Tale circostanza fu negata, in aula, dai genitori del ragazzo, sentiti a novembre, ma è stata confermata mercoledì da Grosso, che aveva annotato il tutto in cartella clinica. Ma non solo: il 7 Aprile del 2018 Grosso annotava anche un’altra circostanza, ovvero che i nonni avevano dichiarato di volersi opporre in ogni modo all’allontanamento della bambina. Il Tribunale dei minori aveva però disposto la collaborazione della famiglia con il servizio, per procedere ad un allontanamento graduale. Proprio per tale motivo, dopo aver ascoltato la madre ed i nonni di A. e aver letto le loro memorie difensive, il Tribunale ha invitato i Servizi sociali ad eseguire l’allontanamento dalla scuola all’insaputa dei nonni. Ed è per tale motivo che, l’ 11 aprile, A. è stata prelevata da scuola senza che i nonni fossero informati. Il tutto, stando alla ratio del provvedimento, per evitare traumi alla bambina. Sempre in relazione al caso di A., in aula è intervenuta anche Francesca Muscarello, educatrice, presente agli incontri protetti tra la bambina, i nonni e i genitori.

Secondo madre e nonni, tali incontri si sarebbero svolti in un clima «surreale», impedendo qualsiasi contatto tra la bambina e i suoi familiari. Ma a smentire questa circostanza ci sono le relazioni stilate da Muscarello all’epoca - e confermate in aula -, in base alle quali gli incontri erano, invece, molto affettuosi, con giochi, abbracci e «calore». Il contrario di quanto riferito dal consulente a suo tempo nominato dal Tribunale per i Minorenni e oggi testimone del pm, consulente al quale

i nonni avevano riferito di incontri sostanzialmente glaciali, in cui era impedito loro di fare qualsiasi cosa.

Grosso ha riferito anche della situazione della mamma della piccola C., allontanata dalla famiglia il 28 aprile per un presunto abuso - denunciato dalla stessa madre - da parte del padre. La donna era successivamente andata in cura presso il reparto di psichiatria perché sottoposta a tso il 2 giugno, poche settimane dopo l’allontanamento dei figli, per «scompenso psicotico con deliri di tipo mistico e persecutorio e allucinazioni». Nella lettera di dimissioni la psichiatra riferiva proprio dei sospetti che la madre aveva espresso alla Guardia medica circa il presunto abuso sessuale subito dalla figlia. E a seguito dell’allontanamento dei figli, anche la madre era andata a vivere in una casa famiglia, salvo poi decidere di tornare con il marito, considerato «unico interlocutore e mezzo per interagire con il mondo esterno» - aveva appuntato la psichiatra nella cartella clinica -, data l’assenza di una rete familiare e amicale e la scarsa conoscenza dell’italiano. La donna aveva avviato un percorso psichiatrico, con punture intramuscolo - che consentivano di tenere sotto controllo la situazione anche “a distanza” - durate fino al giugno del 2016. La donna, però, da un certo punto in poi non si è più presentata ai colloqui, smettendo così di prendere la terapia. Fu proprio in quel periodo che tentò di portare via i due bambini, nel corso di un incontro protetto presso i Servizio sociali. Grosso avrebbe tentato di contattare la donna più volte, tramite il marito, perché si ripresentasse. Cosa che fece solto a settembre, dichiarando di preferire, però, la cura orale a quella intramuscolo. Contestualmente la donna aveva dichiarato di prendere la pillola anticoncezionale. Cosa rivelatasi falsa, dal momento che poco dopo è rimasta incinta. Secondo l’accusa, i servizi sociali avrebbero omesso di riferire che la donna era guarita. Circostanza non riscontrata dalle carte, dal momento che sia l’ostetrica del consultorio sia, successivamente, il servizio sociale ospedaliero, avevano segnalato la donna come paziente in cura al centro salute mentale con terapia antipsicotica prescritta. Csm dal quale non c'è mai stata una dimissione formale, ma solo un’interruzione volontaria della terapia. In vista della nascita del terzo figlio, il Servizio sociale di Bibbiano ha chiesto ai sanitari se ci fossero situazioni particolari che rendessero necessario un intervento anche per il terzo figlio e data l’assenza di segnali di pericolo non c’è stato alcun intervento, a riprova del fatto che non ci fosse alcuna “smania” di allontanare i minori dalle famiglie. In udienza la difesa di Anghinolfi ha chiesto a Grosso se le fosse stato riferito quanto dichiarato dalla donna in aula, quando, ascoltata come teste, aveva affermato di aver perso la memoria circa quel periodo per via di una scossa presa al cellulare, episodio di cui non si ha traccia in cartella clinica. Grosso ha risposto di non saperne nulla e che nel caso in cui le fosse stato riferito lo avrebbe annotato «come sintomo di delirio persecutorio».