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Prima di eseguire l’allontanamento della piccola A., i servizi sociali della Val d’Enza avevano preparato la bambina, alla quale, per rendere il tutto più sereno, avevano fatto usare un nastro, che l’avrebbe tenuta simbolicamente legata alla nonna anche dopo l’affido temporaneo. Il dato è emerso ieri in udienza nel processo sui presunti affidi illeciti, a conclusione del controesame di Beatrice Cassani - psicologa di Parma e Ctu nominato dal Tribunale dei Minori nel caso della piccola A., sulla quale c’era il sospetto di un abuso da parte del compagno della madre - che lo scorso 6 febbraio aveva raccontato di un allontanamento avvenuto senza preparazione, traumatico, da parte di un servizio che avrebbe fornito, a suo dire, dati fuorvianti circa la situazione della bambina. «Ai parenti fu solo comunicato l’allontanamento, ma non furono preparati, e così anche la piccola», aveva detto Cassani in aula. Ma atti alla mano, i difensori degli imputati hanno dimostrato il contrario, sottolineando inoltre che le informazioni ritenute mancanti erano tutte contenute nelle relazioni dei servizi. E che fin da subito, nel colloquio con i nonni e con la madre, già il giorno successivo all’allontanamento, l’idea del servizio era quella di far rientrare la bambina il primo possibile a casa dei nonni, come dimostrato dal dialogo registrato di nascosto dalla stessa madre della bambina.
La difesa di Anghinolfi ha depositato una mail inviata a Cassani dal Tribunale per i minori, alla quale era allegata l’ultima relazione fatta dal servizio sulle modalità degli incontri protetti tenuti nell’autunno del 2018 tra bambina, nonni e genitori, incontri che venivano descritti come sereni. Allegata a questa mail vi era una relazione del servizio, a firma anche dello psicologo dell’Asl Matteo Mossini, che accoglieva la diagnosi fatta dalla psicologa Imelda Bonaretti di disturbo post traumatico da stress complesso. Cassani ha però affermato di non aver mai ricevuto questa mail, che risulta però accettata. Ma non solo: stando ai documenti, i servizi avevano informato correttamente la Ctu sull’attività lavorativa della mamma della piccola A. - che secondo Cassani sarebbe stata taciuta -, mentre sarebbero stati i nonni della bambina a non riferire, ad esempio, che era stato diagnosticato un ritardo cognitivo al figlio, padre della bambina. Se la Cassani avesse avuto dai genitori tale informazione non avrebbe sottoposto il padre della bambina ai test di personalità. I servizi avrebbero potuto mettere in atto l’allontanamento della bambina con la madre sin dal 2011, come disposto dal Tribunale dei minori. Ma gli assistenti sociali preferirono lasciare la bambina in famiglia, vedendo il miglioramento della situazione.
La questione della tutela e della protezione della bambina riemerse nel 2018, su disposizione del Tribunale dei minori, a seguito della segnalazione di una situazione di abuso che la bambina aveva riferito a psicologa, madre e maestre, e a seguito di un peggioramento delle condizioni emotive della bambina, estremamente gravi, al punto di manifestare idee suicidiarie con l’insegnante di sostegno. Cassani - che durante le pause d’udienza si è intrattenuta con i nonni della bambina, come ammesso su domanda di Oliviero Mazza, difensore insieme a Rossella Ognibene di Federica Anghinolfi -, nel corso della scorsa udienza aveva lamentato di non aver mai interloquito con Valentina Muraca, l’assistente sociale dedicata al caso, che però, all’epoca della sua nomina, era già andata via, cambiando luogo di lavoro. E quando Cassani ha chiesto il numero di telefono di Muraca, come dimostrato da alcune chat e mail depositate dalla difesa dell’assistente sociale Annalisa Scalabrini - rappresentata dagli avvocati Cinzia Bernini ed Elisabetta Strumia -, il contatto le è stato fornito nel giro di poco tempo. All’udienza invece Cassani ha riferito che aveva trovato resistenza da parte dei Servizi nel comunicare il numero di telefono.
Ma c’è di più. Cassani aveva ricevuto l’incarico di seguire gli incontri protetti tra la bambina e i familiari, che si tenevano ogni 15 giorni, incontri che erano stati registrati dalla psicologa, compresi quelli in presenza dei servizi sociali. La psicologa ha però affermato di aver cancellato tutto pressoché subito dopo la conclusione del lavoro peritale, «perché non mi servivano più». Mazza, nel corso dell’udienza di ieri, ha chiesto a Cassani le ragioni di tale scelta, dal momento che l’articolo 17 del codice deontologico degli psicologi impone il dovere di conservare per almeno cinque anni i documenti cartacei, le registrazioni e i documenti informatici.
La psicologa ha però affermato di non conoscere tale disposizione, dichiarando di non sapere se la cancellazione dei file sia avvenuta prima o dopo l’audizione con la pm Valentina Salvi. Altro tema quello relativo alle conclusioni del lavoro di Ctu: a febbraio 2019, sentita dal Tribunale dei minori, Cassani spiegò che l’ipotetico abuso subito da A. si inseriva «in una condizione clinica più compromessa a livello psico- emotivo» e in un contesto familiare che «non ha favorito una crescita tutelante», concludendo comunque per un reinserimento della bambina presso la madre. La Ctu, però, è stata depositata in due tranches: la prima alla fine di aprile 2019, la seconda alla fine di luglio 2019, ovvero dopo gli arresti. Un documento, quest’ultimo, molto diverso, nei toni, dal primo: nella seconda relazione, infatti, Cassani si è scagliata contro i servizi, accusandoli di aver fornito, appunto, informazioni fuorvianti. A stupire Mazza è stata la metodologia di Cassani, ovvero la scelta di suddividere le conclusioni in più tranche, cosa che, come ammesso la stessa psicologa, non le era capitato di fare prima.
In aula, ieri, è apparsa anche la mamma di D. il cui padre aveva successivamente sposato la madre del piccolo N., avuto da precedente relazione. Stando ai racconti del piccolo N., di poco più di 4 anni di età, D. avrebbe simulato atti sessuali con lui toccandolo e baciandolo. La donna ha affermato di essere rimasta all’oscuro delle ragioni per le quali il proprio figlio non poteva incontrare il piccolo N.. Un fatto che dimostra come il padre di D. non avesse avvisato l’ex compagna del divieto di incontrare N. per prescrizione del Tribunale per i minorenni.
La prescrizione fu dunque trasgredita all’insaputa della madre di D., perché per iniziativa del padre i due minori andarono in campeggio insieme, senza neppure comunicarlo ai servizi sociali. La madre di D. ha affermato che il figlio non avrebbe visto il padre per mesi, almeno fino al 2018. Ma stando alle sommarie informazioni rilasciate dalla stessa ai carabinieri nel 2017 nel procedimento parallelo, il bambino avrebbe ripreso a vedere il padre dopo pochi mesi alla fine dell’estate del 2017, con l’ausilio degli incontri protetti disposti dai servizi, documentati da relazioni non accusate di falso.
Nel corso dell’udienza del 6 febbraio la teste Cassani aveva risposto ad alcune domande anche sul caso di Martina ( nome di fantasia), la bambina che, lasciata da sola a casa dai genitori, ha chiamato i carabinieri, che poi l’hanno affidata ai servizi perché «in stato abbandonico». La psicologa - che in aula aveva detto di essersi «preparata» solo sul caso della piccola A. - aveva svolto il ruolo di consulente tecnico di parte nel procedimento penale a carico della madre per abbandono. La pm Valentina Salvi aveva chiesto alla teste come fosse stato presentato il caso di Martina: Cassani ha sottolineato che c’era un sospetto di abuso o maltrattamenti in un quadro familiare in cui la bambina era stata abbandonata dalla madre, che aveva una vita «promiscua», e con un padre quasi mai presente. Concetti che la stessa Cassani aveva sentito dalla viva voce dei genitori: la psicologa ha infatti assistito ad alcuni incontri con i genitori in presenza del ctu Giuseppe Bresciani - come ricordato in aula da Giuseppe Sambataro, difensore dell’assistente sociale Francesco Monopoli insieme a Nicola Canestrini -, nominato nella fase di incidente probatorio nel procedimento penale contro la madre.
Durante questi incontri il padre di Martina aveva accusato la moglie di abbandonare la bambina a casa da sola, mentre la donna aveva puntato il dito contro il marito accusandolo di maltrattamenti (tanto da averlo denunciato in passato), circostanza che aveva reso necessario un suo collocamento in comunità assieme alla bambina. Il padre, inoltre, aveva riferito, sempre di fronte a Cassani, di aver sentito voci circa il fatto che la moglie si prostituiva e che la stessa lasciava la bambina con soggetti estranei alla famiglia, manifestando il dubbio che Martina avesse assistito a condotte sessuali tra la madre e un altro uomo. La psicologa aveva poi sottoscritto due perizie di parte sulla bambina, dichiarando la presenza di disturbi traumatici dello sviluppo legati a possibili abusi.