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Si comincia a notare una certa insofferenza, tra commentatori del mondo giuridico, così come politico e giornalistico, nei confronti della Grande Sceneggiata che sta diventando il “caso Garlasco”. Soprattutto non si capisce più quali siano le fonti delle notizie che escono goccia a goccia, soprattutto sul nuovo “mostro”, Andrea Sempio. Perché l’altro, quello di prima, Alberto Stasi, se pure in un discutibile processo indiziario, è ormai inchiodato a una condanna a sedici anni di carcere. E i suoi difensori non potranno avanzare una nuova richiesta di revisione del processo, dopo l’esito negativo della prima, se non esisteranno elementi nuovi e molto consistenti, dal momento che anche la Corte europea per i diritti dell’uomo per due volte ha confermato la regolarità del processo che lo ha condannato. Che rimane comunque un processo indiziario, con un ricorso da parte dell’accusa dopo due sentenze conformi di assoluzione. In ogni caso, il processo che si sta celebrando in questi giorni nelle piazze mediatiche e nei talk non è la revisione di quello su Stasi, ma qualcosa di inedito che riguarda un altro personaggio, che si chiama Andrea Sempio, che è già stato indagato due volte e la cui posizione è stata per due volte archiviata dall’ufficio del giudice per le indagini preliminari. E’ su di lui che ogni giorno circola la stilla di veleno.
In un calderone privo di regole, con indagini a cielo aperto a favore di telecamere, come è accaduto una decina di giorni fa. Quando uno squadrone di giornalisti e operatori tv ha accompagnato i vigili del fuoco a dragare il canale di Tormello per cercare l’arma del delitto, sulla base di un presunto testimone che in una trasmissione riferisce il racconto di una persona ormai morta, in presenza di un’altra deceduta. Solo per fare un esempio. Perché il veleno, come nei gialli di Agata Christie, scorre ogni giorno. Prima c’è la compatibilità su una traccia sulle unghie di Chiara, poi l’impronta sul muro della mano di una persona, cui non corrisponde l’esistenza di un piede a terra, visto che non c’è orma. Si fa circolare la voce che, anche se le indagini hanno stabilito che su quella traccia, di cui esiste solo una foto, non c’era sangue, forse con nuovi sistemi il sangue si trova.
Non è vero, ha precisato ieri il generale Luciano Garofano che era il capo dei Ris che a quei tempi fecero indagini ed esami genetici, perché il sistema è sempre lo stesso, quello del Photoshop. Allora si cerca la crosta di intonaco che fu staccato dal muro, ma non c’è più perché quello fu un atto irripetibile, e in quei casi il materiale, una volta esaminato, viene buttato. Eccetera, eccetera.
Sul Dubbio di ieri il professor Oliviero Mazza, ordinario di procedura penale all’università Bicocca di Milano, ha denunciato la costante violazione della presunzione d’innocenza, soprattutto nei confronti di un indagato come Sempio, dal momento che esiste già una sentenza di condanna nei confronti di un'altra persona. E vogliamo parlare della costante quotidiana accanita violazione del segreto investigativo? La cosa particolare di questa inchiesta è il fatto che l’indagato si trova a dover fronteggiare due importanti esponenti dell’accusa: uno è rappresentato dalla procura di Pavia, che conduce le indagini, e l’altra è la difesa di Stasi, che indossa la toga di accusatore privato. E ogni volta che viene fatta circolare una notizia, che spesso è una non- notizia, se non una falsità suggestiva, è difficile capire quale ne sia la fonte. Pubblica o privata? Occorre che lo stesso procuratore capo Fabio Napoleone, ha scritto ieri sul Corriere una firma di grande competenza sulle questioni di sicurezza e di giustizia come Fiorenza Sarzanini, assuma presto un’iniziativa. «E’ la procura di Pavia - scrive il primo quotidiano italiano- a dover fermare questa sceneggiata». E conclude con il sospetto, che pare ogni giorno di più molto fondato, «che si spari nel mucchio sperando che qualcuno cada nella rete».
Del resto, nell’informazione di garanzia spedita a Andrea Sempio, non c’è forse scritto che l’indagato avrebbe commesso il delitto, l’uccisione di Chiara Poggi diciotto anni fa, in concorso con Alberto Stasi o con altri? Questi “altri”, a meno che qualcuno non presti attenzione al racconto dell’avvocato Lovati sul sicario mandato a uccidere da qualche banda di pedofili in tonaca, non possono che essere i soliti personaggi in commedia.
Il gruppo degli ex ragazzini amici di Marco, il fratello minore di Chiara, e la famiglia Cappa, padre, madre e due figlie gemelle, rispettivamente cognati e nipoti dei coniugi Poggi. Se valgono i sospetti del Corriere, dovremmo pensare a qualcosa di già visto. Cioè che la procura di Pavia stia ronzando intorno a tutti questi personaggi, nessuno dei quali è indagato, proprio per sparare nel mucchio con la famosa pesca a strascico, nella speranza che qualche pesce abbocchi.
Interrogando nella veste di testimoni, soggetti nei fatti già indagati, ma privati così delle tutele che prevedono la presenza del difensore e il diritto a non rispondere o mentire. E al contempo tenendo sotto pressione Andrea Sempio, esasperandolo con il massacro quotidiano della disinformazione, nella speranza di trasformarlo nel “pentito” del caso. Suggestioni? Può essere, ma il circo mediatico- giudiziario sta galoppando a pieno ritmo in questi giorni. E’ stato persino resuscitato dagli scantinati della Rai, il plastico di Bruno Vespa, con tutta la villetta Poggi, le stanze, le macchie di sangue e la scaletta da cui fu buttata giù.
E’ urgente separare la carriera dei pm da quella dei cronisti, ha scritto ieri un altro autorevole giornalista, il direttore del Foglio Claudio Cerasa. Denunciando il giochetto delle notizie “riservate” pubblicate dal cronista, su cui poi la procura fa i comunicati che in seguito i giornalisti riprenderanno con altri articoli. Un gioco di specchi tutto a danno del “mostro” di turno. E allora aspettiamo una urgente presa di posizione del procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, che conosciamo come magistrato serio ed esperto, che metta un tappo a questa vergogna. Lo faccia, procuratore.